Magazine Cultura
L’INTERVISTA Partiamo dall’ultimo evento, e dal successo di pubblico di cui è stato testimone il Teatro Verdi: come ti spieghi una tale partecipazione, che a mio avviso non è giustificata da tutto ciò che sembrerebbe ovvio (reunion genovese, fine benefico ecc ecc)? Credo che nel nostro lavoro ci sia una parte di solitudine, di isolamento, soprattutto qui a Genova. Non è che noi ci si frequenti molto, ma credo che invece la curiosità e l’attenzione per il lavoro dell’altro siano forti. La cosa più bella di questa serata per me è stato vedere le facce (invecchiate bene!) di tanti colleghi con cui in epoche diverse ho collaborato. E di conoscerne di nuovi, di cui magari avevo soltanto sentito parlare. Certo la concentrazione dei talenti era impressionante! Girarsi mentre cantavamo Baxaicò e vedere ai cori Roberto Tiranti, Aldo De Scalzi, Carlo Parola… insomma è stato davvero esaltante e commovente. Credo che poi il pubblico, allo stesso modo, abbia fame di questi suoi artisti, di vederli riuniti. Genova è una città di musica, di musicisti e la gente lo sa bene. Sono rimasto molto colpito dal “blues al basilico” che hai proposto con tuo fratello Gian Piero e Gianni Martini: creazione nata per l’occasione o progetto più solido? Canzone nata nei meravigliosi anni ’90 al Teatro della Tosse, dove ogni sera eravamo costretti ad inventarci qualcosa per il ‘dopoteatro’. Intriganti appuntamenti che si tenevano a notte fonda nella sala conosciuta adesso come La Claque. Lì, grazie a Tonino Conte, io e Giampiero abbiamo cominciato ad affrontare il dialetto genovese, io a cantarlo e lui a comporre. Sei un’artista eclettica, tra musica e teatro, ma… qual è il ruolo che prediligi e in cui riesci anche a divertirti? E’ il mio lavoro, quello che so fare. Ormai è anche quello che mi costa meno fatica. Perché il nostro lavoro si è complicato molto, siamo dovuti diventare quasi tutti dei piccoli imprenditori, con tutto quel che comporta, per nature come le nostre ovviamente, non sempre particolarmente portate all’intraprendenza e alla strategia. Se dovessi risponderti a pelle direi: scelgo la musica per il cuore, il teatro per la disciplina a cui mi costringe. In ogni contesto sento citare Genova come la capitale della musica, ma so che ogni angolo della nostra regione nasconde meraviglie musicali che restano nel quasi anonimato. E alla fine si cade sempre su De Andrè: non credi che siano molti altri gli artisti di cui bisognerebbe rispolverare l’arte, con maggior frequenza? Ci sono successi che ovviamente parlano a tutti. Questo è innegabile, ci sono poi carriere meno ‘blasonate’ ma di tutto rispetto. Certo che se per la città e le istituzioni questo fosse un valore da conservare e promuovere saremmo tutti migliori, i talenti più visibili e quelli più nascosti. Cosa significa potersi esibire su di un palco assieme ad un affetto solido? In questo mestiere ci sono incontri. Che poi siano fratelli o amici non è che cambi molto. Conta l’incontro, la capacità che l’altro ha di respirare insieme a te. TARGA TENCO 2011 come miglior interprete, miglior album del 2011 - “Janua” - per la musica tradizionale italiana: punti di arrivo o normali successi di un percorso di vita? Per me che mi sono svegliata solista molto tardi (a 43 anni il primo disco) dopo anni di meraviglioso gregariato, si tratta di un percorso fortunato. Però va detto che lavoro da quando ne ho 17. Su tutto credo che abbia reso una buona progettualità. Ogni disco è una puntata di un lavoro lungo e articolato, credo che questo sia stato premiato. Al di fuor di retorica, che giudizio daresti dell’attuale stato della cultura nel nostro paese? Vedi nascere una controtendenza, dopo aver toccato il fondo? Vedo un sacco di localini che fanno concerti interessanti pieni, vedo colleghi che si inventano formule nuove, intelligenti, vedo artisti che riescono ancora e nonostante tutto ad avere ‘successo’… vero è che non siamo sostenuti in nessun modo. Che l’Italia non ha nessun senso della tutela dell’arte e dei suoi artisti. In Francia, banalmente, credo che avremmo tutti una vita più dignitosa. Ripensa alla tua storia… esistono attimi in cui hai lasciato partire un treno che, col senno di poi, ti avrebbe portato verso terre piacevoli? Forse quando Don Gallo mi ha chiamato a cantare al Carlo Felice per Faber-amico fragile, il grande evento dedicato a De André, avrei dovuto avere il coraggio di andare sola…ma ero incinta di otto mesi, mi sentivo vagamente fuori luogo e in generale io non sono artista da ‘spaccotutto’ quindi, a proposito di affetti solidi, sono andata accompagnata da mio fratello Giampiero e abbiamo cantato insieme. Noi eravamo in scaletta prima di Celentano… quando dietro le quinte ho sentito lui cominciare a sbagliare le parole e poi ho visto la rabbia del pubblico che montava ho pensato che l’avevo scampata. Ho visto in lui quello che pensavo sarebbe successo a me. E sono stata felice di essermi concessa la mia fragilità. Che cosa c’è nel presente e nel futuro musicale di Roberta Alloisio?
Ricerche. Progetti. Ho appena finito il terzo disco. Uno sforzo meravigliosamente sovrumano che mi ha portato davvero lontano, geograficamente e nella qualità delle collaborazioni. Mi auguro di avere ancora parecchie sorprese. Voglio potermi immaginare tra molti anni, vecchia e scalza, ancora a lì a cantare…
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