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Roberta Bertozzi: chi è la sibilla?

Da Narcyso
Roberta Bertozzi, BLUMEN, primo studio, traduzioni in inglese di Serena Todesco, Cesena, luglio 2013
Roberta Bertozzi: chi è la sibilla?

Avverte Roberta Bertozzi in una nota: "Questo studio rappresenta il tentativo di riprodurre la dinamica di un'ek-stasis, di cogliere quell'attimo in cui il sacro sembra rivelarsi. Non bisogna cercare una logica, una storia, ma lo sviluppo di una percezione, nelle sue diverse transizioni. Leggere in modo il più possibile letterale".
È una dichiarazione, quindi, che allontana qualsiasi attestazione critica sul testo stesso, in quanto la critica sovraespone il testo oppure lo sopravanza. Ed è posizione già presentata nei versi iniziali: " Tu sai che all'ora stabilita, quando / il sipario sarà totale, /accadrà, / o farà in modo / che raccontato tutto sia accaduto."
Possiamo intendere questo sipario in due modi: il luogo stesso della teatralizzazione della parola - spazio altro, quindi, fruibile solo attraverso un'immersione sensoriale per cui il racconto può avvenire solo per frammenti o totalmente interiorizzato nell'esperienza soggettiva dello spettatore - ; oppure possiamo intendere questo sipario come l'oggetto di una separazione più radicale tra il luogo del dire, della parola, e quello della fruizione. Un luogo della metafisica, allora, che non realizza alcuna forma di conoscenza in quanto la trasposizione è già atto di tradimento di un gesto che non si radica nel quotidiano.
In effetti la prima sequenza fa riferimento all'adesso, cioè al tempo breve del dettato; non all'inizio né al dopo ma a un'urgenza che si compie solamente per legge di desiderio nello spazio di una divisione: "Non puoi sbagliarti, è adesso, e vedi / l'oblio della casa, / vedi quale misterioso potere / s'impadronisce degli uomini, del verde e del metallo, / senza che siano consapevoli del modo in cui avviene".
Divisione che leggiamo perfino nei gesti che sono più nostri, quelli più intimi degli affetti e dell'appartenenza, dentro i quali Roberta Bertozzi sembra cercare un accadere "celeste", cioè una dimensione dello sguardo che li liberi dal transeunte.
L'estasi, però, non trascende dal transeunte. Il sacro è rilevabile negli istanti minimi dello sguardo percepito - gli occhi non guardano ma sono guardati - ed è proprio in questo momento brevissimo che è possibile dire l'impossibile, l'irrilevabile: " Un dio lo sa, che perché vi sia una forma, / un posto / dove far ritorno, occorre / soffiargli dentro questa prodigiosa / cavità, soltanto questo tipo / di distanza tra una parete e l'altra, / e lasciarla agire // come un magnete".
Se la voce è condannata ad "affondare nelle voragini", lo deve fare portandosi dietro non un libro di preghiere ma un coltello per "aprire i grandi interstizi".
Questa voce in estasi allora altro non è che sibilla che si fa cavità della voce, cercando di evitare "certi errori percettivi" e dare allo sguardo la possibilità di una guarigione.

Sebastiano Aglieco

*

Solo penombre e polveri, certi errori
percettivi, poi lo sguardo che ripara
su masse deboli e continue:
mare notte asfalto
diventarlo anche noi

infine. Come George Dyer, nel trittico del 71:
la metà inferiore del suo corpo
liquefatta su di un tavolo anatomico
e nel mezzo le giunture c'erano dei varchi

che un coltello senza spessore
aveva inciso. A colpi
netti, celesti.

Devo, e presto. Devo procurarmi
una grazia che le accompagni
perché è il momento adesso, tocca alle mie
affondare nelle voragini
- da questo
punto metallico
aprire i grandi interstizi:

se per articolare la mancanza del tuo corpo
bisogna addentrarsi
in questa foschia di carni,

se anche quella sera, gettati
nell'eclissi del ritorno, di ogni cosa
che diviene se stessa solo scendendo
per numerosi tagli, attraverso
pareti interminabili,

e la notturna
e presente.


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