Magazine Poesie

Roberto Bertoldo tradotto da Valérie Brantôme

Da Ellisse

Dodici testi di Roberto Bertoldo, tratti da il Calvario delle gru (2000), già apparsi su L'omroberto bertoldobra delle parole (v. QUI) con una nota di Giorgio Linguaglossa a cui vale la pena fare riferimento e a cui rimando anche per la cospicua biobibliografia dell'autore, sono qui riproposti nella traduzione in francese di Valérie Brantôme, amica e già altre volte collaboratrice di IE, che ringrazio di cuore. Anche questo post rientra nella mia convinzione, forse chiara, che sia sempre utile confrontarsi, per quanto possibile, con altre scritture e altre lingue, in sostanza con altre interpretazioni, stili, conflitti traspositivi, modalità di fare poesia, di dare un nome alle cose, insomma di leggere e reinventare la realtà. Cosa non facile, certo, e forse doppiamente impegnativa (e utile)  per chi, come Valérie, non solo traduce poesia ma anche la scrive, e affronta la poesia degli altri  con amore e insieme occhio critico. Questo vale forse a maggior ragione con la poesia di Bertoldo con cui Valérie si è voluta cimentare, una poesia "pensosa"e cognitiva, densa e ricca, ad un primo accostamento ardua, pregna di costruzioni metaforiche ardite, che non vuole sedurre liricamente né "cantare" niente ma che ha l'ambizione di elaborare un pensiero anche filosofico e di mettere in discussione molti punti di riferimento culturali, soprattutto di ciò che Bertoldo chiama il "postcontemporaneo", ovvero (cito l'autore) "il postmoderno forte, col quale indico semplicemente il postmoderno liberatosi dal decadentismo, e cioè indico una cultura che attualmente sembra, solo perché il presente spesso la rigetta, propria del futuro (per questo lo chiamo anche postcontemporaneo), è l’accettazione del progresso gnoseologico e del modello epistemologico contemporaneo che l’età odierna si ostina, a parte eccezioni, a rifuggire per codardia e interesse". Ecco che, tra l'altro (cito Linguaglossa, v. QUI) "Bertoldo intuisce e comprende, con indubbia genialità, la necessità di riformulare una nuova poetica di tipo post-simbolistico nel quadro concettuale del postmoderno, comprende che soltanto attraversando criticamente il post-simbolismo si può attingere una poesia emancipata e culturalmente attrezzata sul piano metaforico, comprende che soltanto arretrando sulle posizioni di un consapevole modernismo si può uscire dalla palude dei cliché del minimalismo (corsivo mio)". Una ragione più che sufficiente, se non servisse altro, a farmelo amare.

I
Lei mi parla di un silenzio
che io ho dovuto ingoiare
tra i frantumi delle parole
come un buco le sue cornici.
Lei parlando si condanna
a ferire il nulla che attesta
perché non può cancellare il tono
che sussurra con le foglie
quando cadono. Noi vinciamo
attraverso l’atmosfera che inneggia alle ombre. I
Vous me parlez d'un silence
qu'il m'a fallu avaler
au milieu des brisures de mots
comme un trou l'aurait fait de ses cadres.
En parlant, Vous vous condamnez
à blesser le néant qui témoigne
parce que vous ne pouvez effacer le ton
qui murmure avec les feuilles
en tombant. Nous sommes vainqueurs
à travers l'atmosphère qui célèbre les ombres.


II
Tra le sue ossa senza fibbia
logorate dal mare
Lei imbratta la voce
d’un canto che morde il respiro
e il mare si riserva di parlarle
della sfera di sale che stempera sulla lingua
in giostre di resine.
Il mare
questo rostro d’alabastro
scuote l’orcio dei simboli
nei quali la terra strina le proprie larve.
La terra
un’antica passione che Lei
in ginocchio
con povere parole
officia di candele
come una gazza.

II
Entre vos os sans attaches
rongés par la mer
Vous badigeonnez la voix
d'un chant qui entame le souffle
et la mer se garde de vous parler
de l'orbe de sel qui se dilue sur la langue
en manèges de résine.
La mer,
ce bec d'albâtre
secoue la jarre des symboles
au fond desquelles la terre grésille ses propres larves.
La terre,
une ancienne passion que Vous,
à genoux,
par de pauvres mots
célébrez en chandelle
à la façon d'une pie.


III
Io so perché Lei,
saldo sulla sedia a dondolo,
ha sconfitto il gomitolo di lana.
Perché Lei ha un’uscita per ogni entrata
e le arcate dei ponti La soddisfano solo di giorno.
Nella luce del Suo telaio
Lei ha ristoro per un intero gregge.

III
Je sais pourquoi, assis
fermement sur la chaise à bascule,
Vous êtes venu à bout de la laine au coude.
Pourquoi Vous détenez une sortie pour chaque entrée
et les arches des ponts Vous donnent satisfaction à la   lumière du jour seulement.
Sous l'éclairage de Votre métier
Vous avez de quoi repaître un troupeau entier.


IV
Ogni giorno, ogni notte
Lei ricicla i rifiuti che passa il convento
e attende alle Sue cose
fa un pupazzo sulla spiaggia
appalta le maree con le parole.
Sotto il trespolo giganteggia.
Poi, imbottito dei tordi altrui,
si schiarisce la voce
e sul palco, con ispirazione,
mette le tende
e fa l’indiano.
***


IV
Chaque jour, chaque nuit
Vous recyclez les débris que passe le cénacle
et vous vous consacrez à Vos choses
vous fabriquez un pantin sur la plage
vous vous adjugez les marées par des mots.
Sous les tréteaux, Vous vous élevez en géant.
Puis, gonflé par les oiseaux moqueurs autour,
vous vous éclaircissez la voix
et sur scène, avec inspiration,
Vous plantez le décor
et jouez l'innocent.
***


I
La tua solitudine è un risvolto incauto
e sfiora gli orridi che sanno di cornice
nel nostro carteggio di vetrata.
Anche se una stella
di luglio rovina alle stuoie
breve arrugo la terra e infamo.
Non è altro la distanza:
un buco che odoro, una – gramma
di vuoti a rendere.
Tu che sei il mio singhiozzo
e la mia deriva,
la lontra che incede nel fertile.

I
Ta solitude est un revers imprudent
elle frôle des à-pics aux allures de corniche
dans notre correspondance à l'émeri.
Même si l'étoile
de juillet s'abîme sur les matelas
éphémères, je couvre la terre de rides et d'infamie.
Ce n'est pas autre chose, la distance :
un trou que je renifle, un —gramme
de vides à restituer.
Toi qui es mon sanglot
et ma dérive,
la loutre qui avance majestueuse dans la fécondité.




IV
Nelle tue braccia ritrovo la rondine
che buca la mia testa
e fiorisce dal ventre di pagina
due righe che s’allontanano.
recito nelle tue unghie la forza
del sorbo e la bontà della sua salsa,
io che bevo cerevisia io
cacciagione ribelle.
E il tuo seno è un fastidio
per la mia barba di uomo.
Ma infine, eh, infine cedo alla regressione
e strappo a denti di latte
il tuo cuore.

IV
Dans tes bras je retrouve l'hirondelle
qui me troue la tête
et fait fleurir du ventre de la page
deux lignes qui s'éloignent
Je récite sur tes ongles la force
du sorbier et la qualité de sa sauce,
moi qui bois cervoise moi
gibier rebelle.
Et ton sein est une gêne
pour ma barbe d'homme.
Mais à la fin, hé, à la fin, je cède à la régression
et j'arrache ton cœur
à coups de dents de lait.


V
Ora la mia barba scandinava attrae di scarlatto le tordelle
come quel fuoco d’inverno gli uomini infreddoliti
per la tua unghiata d’amore.
Ho dimora anche per te tra le mie foglie e i corimbi
o sorella dei monti, per te che appoggi il tuo flauto
come una sirena, per le onde che sorreggono il tuo canto
di spine, per te regina in croce ho lo spazio di un nodo
che s’aggroviglia sul collo degli uccelli.
Non ti lascio sola con gli strappi della tua pelle
con i marosi
e le folaghe arbitrarie nella mia fortezza.
Per te impegno il mio legno e t’inchiodo.

V
À présent ma barbe scandinave — écarlate —  attire les draines
comme le furent par ce feu hivernal
les hommes  refroidis par ta griffure d'amour.
Ma demeure pour toi aussi parmi mes feuilles et les corymbes
ô sœur des monts, pour toi dont la flûte prend appui
comme une sirène, par l'onde qui porte ton chant
d'épines, pour toi, reine crucifiée, (je garde) l'espace d'un nœud
qui s'entortille au col de l'oiseau.
Je ne te laisse pas seule avec tes écorchures de peau
avec les lames
et les foulques arbitraires en ma forteresse.
Pour toi je garde mon bois et t'y cloue.


III
Ci hai parlato come una dimora sfondata
zeppa di grilli che hanno la testa
accurata del tuo pettine,
l’ordine che giustifica la follia
di queste nostre mani che sanno di mollica
sul tuo viso ammuffito.
Ma anche oggi qualcosa ha disperato il principio
che adora la nostra polvere di uomini:
hanno aperto un altro solco
e non hanno semi
e neppure i tuoi seni matrigni.
Come puoi gridare
oggi che la tua lingua non posa
sulla nostra bacca dolente?

III
Tu nous as parlé comme une demeure effondrée
bourrée de lubies dont tu as peigné
méticuleusement le crâne,
dont l'ordre justifie la folie
de ces mains, les nôtres, qui ont goût de mie
sur ta face moisie.
Mais aujourd'hui encore une chose a désespéré le principe
qui adore notre poussière d'hommes :
ils ont creusé un autre sillon
et n'ont pas de graines
et tes seins de marâtre pas davantage.
Comment peux-tu crier
aujourd'hui que ta langue ne repose pas
sur nos graines de douleur ?




IV
La marsina, scoscesa, rinnovata l’opàle
arlecchino come i suoi racconti nel buco
della pioggia. Sempre quella coda di vipera
delle parole incrociate, sempre la stessa dizione
della notte, come potesse quell’ora
uccidere il senso, il nostro senso
senza direzione. Ad arcuare il tempo
ci abbiamo messo tutto il calore
sull’incudine, sotto il martello.
Ora il tempo ci gira intorno
e noi balliamo, balliamo,
anche cadaveri. Perché siamo la danza,
il vortice che tutto trascina con sé,
siamo l’incertezza che brucia gli asfodeli.

IV
Le frac, pointu, ravaudé, l'opale
arlequin comme ses récits dans le trou
de la pluie. Toujours cette queue de vipère
des mots croisés, toujours la même diction
de la nuit, comme si telle heure pouvait
tuer le sens, notre sens
sans direction. À cambrer le temps
nous avons mis entièrement sa chaleur
sur l'enclume, sous le marteau.
À présent, le temps nous tourne autour
et nous, nous dansons, dansons,
même cadavres. Parce que nous sommes la danse,
le tourbillon qui emporte tout dans son sillage,
nous sommes l'incertitude qui brûle les asphodèles.




Il remo del gondoliere
La mia storia si corica come una virgola,
una gondola sul foglio, come si posa
l’inverno deciduo tra gli abeti,
la mia storia è vile come la gondola
quando a Venezia è una pausa,
quanto una virgola, una pausa della morte.
E questa neve oggi che nasconde
altre storie vili, questa neve
per la mia slitta da diporto,
cade sul foglio come una virgola,
come una benda di una dea.
ma se amo, illustre remo
o palustre luna che ne spiattella l’ombra,
se amo sono il gondoliere
che imprime nel canale la propria obliterazione.
Nullismo
Non del cielo questo tugurio di stelle
che arroventa i gabbiani è l’ostia aprica
come i fiordi delle costellazioni,
a lingua e occhi d’agnello, che calendano
sussurri azzurri, gli ultimi sussulti
– tu senti – delle cicale. Questa pausa livida
è della terra che scuote a formiche e lontre
la vita, è lo strazio argenteo delle cinerarie,
la sorpresa di un canto che smuove le acque
a mani di pagaia.
Aporia di nebbie e nevaschi
Tu non dici perché ami la pietra di me
il pianto più cupo della baraggia
tra il faggio e l’algebra di una memoria di siepe.
Non c’è carezza di galera o vino di immagini
a respirarmi nella testa, un rostro neanche,
né il tuo sorriso come calanco di muschio.
Solo questa luce che fugge precisa
tra i bachi e i baci di ciliegia,
labbra rosse strappate di bacche penduli,
solo questa luce che distilla ricordi
in un velo fradicio d’acquerugiola.
Così è benedetto il frutto
del seno tuo stigio
santa santa ragione del peccato e della miseria
scorpione d’erba, nevasco di frumento.

La rame du gondolier
Mon histoire se couche comme une virgule,
une gondole sur le papier, à la façon
de l'hiver caduc qui se pose sur les sapins,
vile est mon histoire comme la gondole
quand à Venise elle se fait pause,
autant qu'une virgule, une pause de mort.
Et cette neige qui aujourd'hui couvre
d'autres viles histoires, cette neige
pour mon traîneau de loisirs,
tombe sur le papier comme une virgule,
comme le bandeau d'une déesse.
Cependant si j'aime, illustre rame
ou lune des marais qui clame son ombre,
si j'aime, c'est moi le gondolier
qui frappe dans le canal sa propre oblitération.
Nullisme
Il ne vient pas du ciel,  ce taudis d'étoiles
incendiant les mouettes, il est hostie inondée de lumière
comme les fjords des constellations,
dans la langue et les yeux de l'agneau, qui repoussent
l'azur des murmures, les derniers sursauts
— tu le ressens — des cigales. Ce blême répit
est celui de la terre qui, de la fourmi ou la loutre
bouscule la vie, celui du supplice argenté des cinéraires,
de la surprise d'un chant qui déplace les eaux
à mains de pagaie.
Aporie de brumes et de giboulées
Toi tu ne dis pas pourquoi tu aimes la pierre que je suis,
le chagrin assombri de la lande
entre le hêtre et l'algèbre mémorielle de la haie.
Pas de caresse de galère ni de vin d'images
qui respirent en mon crâne, de bec non plus,
ni ton sourire semblable à une calanque moussue.
Cette seule lumière qui s'évanouit, précise,
parmi les vers et les baisers de la cerise,
lèvres rouges arrachées aux baies qui pendillent,
cette seule lumière qui distille le souvenir
en un voile embu de crachin.
Ainsi béni le fruit
de ton sein stygien
sainte sainte raison du péché et de la misère
scorpion d'herbe, giboulées de froment.


Valérie Brantôme è nata nel '68. Ha fatto lunghi soggiorni in Italia, tra Roma e Verona, che le hanno permesso di acquisire una notevole conoscenza della realtà culturale e linguistica del nostro paese. Attenta lettrice della produzione poetica nostrana, è traduttrice dall'italiano, oltre che autrice di poesia. Ha creato i blog di poesia Enjambées fauves  (http://enjambeesfauves.wordpress.com/) e L'ambre et l'abeille (https://traductionspoetiquesenligne.wordpress.com/), dedicati principalmente alle traduzioni in francese, sue e di altri, di importanti poeti dell'area "latina", oltre che a testi propri.


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