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Roberto Querzola per Aycelin il Templare. Il libro cult da avere assolutamente

Creato il 31 maggio 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

Roberto Querzola per Aycelin il Templare. Il libro cult da avere assolutamente

ROBERTO QUERZOLA - AYCELIN IL TEMPLARE
Difficile incontrare romanzi importanti, ben scritti, che non siano il solito libro usa & getta. Aycelin il templare di Roberto Querzola non è semplicemente un romanzo ben scritto, è un Capolavoro di contenuti e stile: al rigore storico, che fa da sfondo alla storia di Aycelin, si accompagna un linguaggio estremamente corretto, uno stile impeccabile. Rarissimamente mi capita d’incontrare un romanzo che sia pienamente un capolavoro con la C maiuscola: nell’opera di Querzola non c’è mai traccia di banalità o di elementi superflui. Era dai tempi de Il nome della Rosa di U. Eco che non leggevo romanzo tanto appassionante, rigoroso, ma sempre avvincente anche nei momenti più drammatici che sono nella trama. Il rigore storico è validamente supportato da personaggi tratteggiati con naturale icasticità: è così possibile agli occhi del lettore aver di fronte – nell’immaginazione – un perfetto quadro storico-avventuroso che si dipana come pellicola d’un film. Non mancano neanche momenti di assoluto lirismo che fanno di Aycelin un personaggio capace di evadere dalla prigione che è la mera narrazione: in realtà, siamo a contatto con una capacità affabulatoria rara che solo una grande penna come quella di Roberto Querzola poteva metter in piedi senza stonature.
Roberto Querzola per Aycelin il Templare. Il libro cult da avere assolutamente
Aycelin, il protagonista di questo romanzo, è dapprima un giovane, forte e valoroso, forse troppo facile agli ardori giovanili; ma sarà l’amicizia con Rainolfo a portarlo alla maturità, molto presto. Aycelin, generoso e di belle speranze, guarda al mondo con occhi incantati quasi: colto, intelligente, onesto e leale, il mondo lo sa brutto ma solo perché così gli è stato descritto attraverso le pagine dei libri. E’ l’incontro con Rainolfo a far maturare Aycelin: eventi tragici si presentano presto sulla strada dei due, dividendoli. Ma non è del tutto vero, perché Rainolfo continuerà, per tutta la vita, ad essere l’angelo custode – e forse, anche un po’ la coscienza – di Aycelin. Aycelin, dopo aver perso la donna amata e Rainolfo, dopo aver vagolato nelle latebre del suo io sempre cacciandosi nei più remoti e sordidi angoli della terra, finalmente incontrerà sé stesso: diventa un Templare. E risorge a nuova vita, emergendo da quelle viziose latebre che l’avevano assorbito – è l’età della maturità. Il dolore per la perdita degli affetti non scompare mai del tutto, ma adesso Aycelin è un Templare. Insieme al Gran Maestro Giacomo di Molay, Aycelin dovrà prestare il suo braccio e il suo cuore all’onestà; e lo farà con tutto sé stesso sempre ricusando ogni forma di ipocrisia e connivenza. Filippo il Bello perseguita l’Ordine dei Templari e mira a conculcare Papa Clemente V: il Papa è un debole, rappresenta l’estremo fallimento d’una Chiesa oscurantista e sottomessa al potere della “politica”. Aycelin riuscirà a rimanere fedele alla giustizia e all’onestà, nonostante le congiure ordite contro l’Ordine dei Templari. In un’epoca barbara, Aycelin sarà Templare fra i templari senza mai abiurare il più grande sentimento che è della vita, quello dell’amicizia; Rainolfo è sempre nel suo cuore, e veglia su di lui spiritualmente ma anche in maniera concreta. Dopo anni di separazione, durante i quali Aycelin aveva creduto l’amico morto, i due amici si ritroveranno in un abbraccio reale (ideale), quello di due fratelli. E Rainolfo racconta all’amico quella porzione di vita, del suo passato, che Aycelin non sa: la donna che ha amato, seppur per pochi giorni perché subito divisi, gli ha fatto dono di una figlia. Nell’età della vecchiaia, Aycelin verrà tradotto insieme al Gran Maestro Giacomo di Molay in sordide celle: l’accusa è quella di eresia. Saranno anni di torture e di svilimento per i Templari: dopo inenarrabili supplizi operati nell’anima così come nella carne, molti confesseranno crimini di cui non sono assolutamente colpevoli. E’ in questa ultima e terza fase della vita di Aycelin che il non più giovane templare darà prova di tutta la sua forza di carattere, della sua onestà, fino alla ferale conseguenza che farà di Aycelin uno spirito libero nulla affatto compromesso con quel potere politico che l’avrebbe voluto piegato e sottomesso.
Tra i tanti romanzi dedicati ai templari, al medioevo, agli ordini cavallereschi, che impazzano in libreria e che si fanno leggere portando solamente noia, Aycelin il templare di Roberto Querzola invece incolla il lettore alle pagine del libro, perché l’Autore osa sfidare la banalità per tradurla in originalità assolutamente godibile. Non un semplice romanzo, ma un Capolavoro che merita la piena attenzione dell’attuale critica – troppe volte disattenta – e l’affetto dei lettori.

Aycelin Il Templare – Roberto Querzola – Aliberti Editore – Collana tre – € 14,00 – 308 p. – ISBN 88-7424-015-5

Intervista a
Roberto Querzola

a cura di Iannozzi Giuseppe

1. Innanzitutto, Roberto Querzola, chi è? Lo scrittore e l’uomo.

Certo che inizi con una domanda che ha un bello spessore, di quelle che incutono soggezione. Con il facile rischio, per chi deve rispondere, di lasciarsi andare ad un cumulo di banalità. Semplificherò la risposta per tentare di contenere al minimo il rischio di cui sopra. Sono un uomo che ha oltrepassato da alcuni anni il capo della quarantina, mentre sono scrittore da poco meno di sei anni. Il lungo rodaggio come uomo mi ha portato a corredarmi di tutto il sacrosanto bagaglio (e a volte fardello) di esperienze. di passioni, di entusiasmi, di errori e di illusioni. La mia giovane età come scrittore mi fa da schermo contro le disillusioni e le apatie e mi consente ancora di librarmi in quei meravigliosi territori, mai abbastanza esplorati, che si chiamano fantasia e creatività.

2. Come hai iniziato a scrivere? Per quale esigenza?

Come ti ho detto, non sono passati tanti anni da quando ho iniziato a scrivere. Perlomeno, a fare sul serio. A dire il vero, anch’io, come tanti, scrivevo quando ero poco più che ragazzino. Poi i casi della vita mi hanno portato verso altri lidi che non contemplavano affatto la scrittura. Qualche anno fa ho cominciato a scrivere degli articoli giornalistici per un quotidiano della mia città – Forlì – e, poco tempo dopo, ho partecipato ad un corso di scrittura creativa. Lì ho preso l’abbrivio. Ho ricevuto una specie di folgorazione, ho scoperto la potenza espressiva della parola scritta (naturalmente stando, per la prima volta, dalla parte dell’autore) in uno con la mia vena di narratore. E’ così che ho cominciato ed ho deciso di mettermi alla prova in questo difficile, difficilissimo, eppur così affascinante, cimento. Ho scritto il mio primo romanzo (Uno stregone alla corte dell’anno mille) e, sulle ali di un sempre più montante entusiasmo, il secondo, Aycelin il templare.

3. Quali gli autori che hai maggiormente amato e che ancor oggi – forse – t’ispirano nel tracciare le trame dei tuoi romanzi?

A questa domanda potrei dedicare molte pagine perché davvero sconfinata è la mia passione per la lettura. Paradossalmente ancora più forte di quella per la scrittura. Non volendo, però, tediare il lettore, mi limiterò a citare (e non tutti) solo quegli autori le cui opere hanno lasciato in me una traccia importante, in alcuni casi indelebile. Comincerò da quando ero un ragazzino. Avevo nove o dieci anni e mi abbeveravo alla superba capacità evocativa dei mirabolanti racconti di Emilio Salgari. Credo proprio di aver attinto da lui la passione per i romanzi d’avventura. Anche perché mi sa tanto di aver letto tutta la sua produzione, una novantina di romanzi o giù di lì. Altri romanzi che apprezzavo a quell’epoca erano quelli di Calvino. Il mio preferito era il Barone rampante. Crescendo, ho preso ad appassionarmi agli scritti dei grandi della letteratura russa e francese del settecento e dell’ottocento. Dostoevskij, Tolstoj, Puskin, Zola, Flaubert, Maupassant, Dumas, Gautier. Insomma, in tema di letture, sono stato legatissimo, in tutti quegli anni che sono soliti essere definiti quelli della formazione, ai grandi autori classici ai quali ritengo di essere debitore, nella mia novella veste di scrittore, di un tributo elevatissimo. Naturalmente, scorrendo le primavere, i miei orizzonti di letture si sono notevolmente ampliati e posso dire che oggi mi ritengo un lettore, scientemente e felicemente, onnivoro. Anche se devo aggiungere che per “deformazione professionale” un occhio di riguardo lo devo riservare, per ovvi motivi, agli autori di romanzi storici. E sono felice di constatare che un sempre maggior numero di autori si sta cimentando in questo genere letterario che, dopo anni di (per me) incomprensibile abbandono, sta vivendo un esaltante momento di rinascita. Per concludere la risposta, ti cito soltanto due autori ai quali debbo molto e verso i quali la mia ispirazione è debitrice. Il primo è il grande Manzoni. Punto fermo per tutti coloro che scrivono romanzi storici, con il suo Promessi sposi, sintesi mirabile e originale di un’ideologia e di una concezione della vita e del mondo. E poi l’autore che, in assoluto, ho amato di più: Victor Hugo. Un unico aggettivo: grandissimo.

4. “Aycelin Il Templare” è la tua seconda Opera pubblicata. Perché scrivere di un Templare e non di un aviatore, ad esempio?

Perché nel Medio evo non c’erano ancora gli aviatori. Poi perché del mondo degli aviatori, ti confesso, conosco ben poco. Però mi hai dato un’idea. Anche perché dalle mie parti (precisamente a Lugo di Ravenna) è vissuto un famoso “comandante dell’aria” che ha compiuto celeberrime imprese nel corso della I guerra mondiale. Il suo nome era Francesco Baracca. Vedrò di documentarmi.

5. Il tuo romanzo è un concentrato di passione e rigore storico, di ricerca del Sé, di avventura: chi è (stato) Aycelin?

Aycelin è un bel tipo. Così, almeno, spero di averlo dipinto. Da queste e dalle prossime parole si capirà quanta (insana) passione io provi per lui. Il libro Aycelin il templare tra le varie categorie alle quali può essere ricondotto credo possa annoverare quella del romanzo di formazione. E Aycelin è, appunto, uno che cerca se stesso, la propria strada. E’ un personaggio che, ad un certo punto della sua vita, si perde e non sa più che pesci pigliare. Poi la fortuna comincia a girare dalla sua parte ed è così che gli accade di incontrare la salvezza tra le braccia del Tempio. Solo in questo modo, infatti, egli riuscirà a coniugare quell’istinto di indomito combattente che da sempre avverte dentro di sé e la forte tensione spirituale che viene, a mano a mano, delineandosi e cementandosi sempre più nella sua anima. Riuscirà cioè a riunire, in una mirabile sintesi, la fortitudo del guerriero alla mansuetudo del monaco. Affascinante, non credi?

6. Gli ultimi vent’anni – giusto per non spingerci troppo indietro nel tempo – hanno visto il ritorno dei templari all’interno di parecchi romanzi – ahimé usa e getta -, generando un quasi disgusto presso gli ambienti critici e non. Ma il tuo “Aycelin Il Templare” è romanzo scritto talmente bene, con verve assolutamente originale, che si lascia letteralmente divorare sino all’ultima pagina. Si avverte chiaramente che è Opera che ha richiesto non poca passione e seria ricerca. Potresti dirci come hai maturato e “cesellato” il personaggio Aycelin, quali difficoltà hai incontrato?

Per rispondere alla tua domanda, permettimi di esordire compiendo una, spero veniale, professione di immodestia. Giustamente, come tu dici, negli ultimi tempi i templari e il loro mondo sono stati “presi a prestito” e finanche “saccheggiati” dalla letteratura e dalla cinematografia. Sotto molteplici aspetti: quello storico, che io prediligo in assoluto, e quello misterico o mitologico, ovvero, per dirla in una sola parola, il c.d. templarismo. Quello che mi rende soddisfatto (e per certi versi un po’ contrariato) è il constatare che ben pochi, per non dire nessuno, di questi romanzi od opere cinematografiche ha avuto l’umiltà o semplicemente l’interesse di calarsi all’interno di quel mondo a 360 gradi come spero di aver fatto io con il mio romanzo. Quello che mi interessava era penetrare la realtà di quei famosi monaci-guerrieri, immergermi fin in fondo alle loro ideologie, ai loro costumi di vita, alle loro lotte, alle dispute interne e alle loro corruzioni, ai loro pregi ma anche ai loro difetti. Soprattutto in questi ultimi tempi mi pare, invece, che l’apparente attenzione di molti autori verso i templari celi nient’altro che un mero intento commerciale senza che alla base vi sia un reale interesse verso quel mondo, verso quella fantastica epopea che merita, al contrario, tutto il nostro rispetto e la nostra attenzione. Insomma, non mi sembra edificante che per compiere una mera operazione commerciale si usi il “marchio” templare e tutto quello a cui ci si limita è creare qualche inconsistente personaggio (il più delle volte il templare, secondo l’iconografia classica, è visto né più né meno come l’incarnazione del male) e qualche situazione storica che ha in qualche modo superficiale a che vedere con quel mondo. Per quanto riguarda il personaggio Aycelin, posso dirti che non ho avuto particolari difficoltà a crearlo. Anche perché, fin dall’inizio, ho inteso “cesellarlo” come un templare “medio”. Mi sono chiesto come doveva essere, a quei tempi, la condizione di un nobile cadetto destinato, per tradizione, alla carriera ecclesiastica e, tuttavia, animato da uno spirito indomito e ribelle proprio di molti altri giovani come lui. E mi sono detto che, probabilmente, non vi poteva essere nulla di più allettante che varcare le soglie di un ambiente, in quel caso una confraternita, che gli permettesse di esprimere al massimo grado quelle due anime che, per censo e per temperamento, gli erano più congeniali. Ecco com’è nata, in maniera de l tutto semplice, l’idea di quel personaggio.

7. Quanto è importante l’amicizia per Aycelin? E più martire o eroe del suo tempo?

Direi che è fondamentale. Come immagino avrai notato, in “Aycelin il templare” il sentimento che la fa da padrone, ancor più dell’amore, è proprio l’amicizia. Sì, mi sembra proprio che il rapporto che si instaura, si sviluppa e si cementa, pur tra mille peripezie, tra Aycelin e Rainolfo possa essere considerato davvero un’intensa e toccante storia d’amicizia. Peccato (spero converrai) non poter dire di più su queste pagine per non togliere, com’è ovvio, il piacere della lettura. Alla seconda domanda posso rispondere che Aycelin non credo sia né l’uno né l’altro. Egli è piuttosto l’archetipo, se così posso esprimermi, degli istinti primordiali, delle tensioni emotive e dei dubbi esistenziali che sono propri di buona parte del genere umano, indipendentemente dalle varie epoche storiche. Affatto peculiare è, piuttosto, il contesto nel quale egli è chiamato a vivere le sue vicende e a prendere determinate decisioni. Mi è caro pensare che molti di noi, al suo posto, si sarebbero comportati più o meno alla stessa maniera. Con tutti i limiti propri della natura umana, ma anche con gli insopprimibili slanci e ardori che solo ideali “forti” riescono a regalare all’uomo.

8. In “Aycelin Il Templare” ci sono idealmente tre tempi: quello della giovinezza, quello della maturità ed infine quello della vetustà. Potresti dirci come mai tre tempi, un’ideale trinità per disegnare la vita d’un uomo, dei suoi ideali, delle sue paure?

Può essere che con la tripartizione dei tempi del romanzo io abbia voluto evidenziare l’ideale trinità che tu dici. Una prima parte nella quale la vita del giovane uomo è caratterizzata dal continuo porsi dei quesiti e dal tentativo, non sempre fruttuoso, di darvi delle risposte; una seconda dove la maturità conferisce certezze e ausilio all’attuazione dei propri ideali di vita; una terza nella quale, con la vecchiaia, giunge il redde rationem e l’uomo interroga a fondo, sperando di trovarvi conforto, la propria coscienza.

9. “Aycelin Il Templare” non è una semplice – o semplicistica – avventura, è anche, e soprattutto, un romanzo storico dove la religione e la fede hanno un loro specifico ruolo: potresti introdurci dentro questo ruolo e nella sua importanza?

Quando ho iniziato a scrivere Aycelin, non avevo ben chiaro in mente che la religione e la fede avrebbero avuto quel ruolo di rilievo che poi hanno, effettivamente, avuto. Diciamo che, a grado a grado, mi sono fatto prendere la mano. Concordo con te. Nel romanzo, la fede (ancor più della religione) assume un suo ruolo quasi autonomo, concreto. E’ la fede, infatti, che muove buona parte delle vicende dei personaggi (e non solo i principali ma anche la schiera dei comprimari), che ha la forza di determinare passioni ed epiche lotte. Nel contesto religioso in cui ho ambientato la mia storia (quello del secolare scontro tra cristiani e mussulmani), naturalmente, il mio non è un punto di vista neutrale. E come potrebbe esserlo? Spero, comunque, di aver lanciato un messaggio di tolleranza e aver lasciato intendere, a ben leggere tra le pieghe delle pagine, che la verità non è mai completamente da una parte sola e che c’è, in ogni caso, molto da imparare anche da coloro che, per cultura, tradizione, orientamenti politici e religiosi, consideriamo nemici. Ecco cosa giunge a dire un’anima (divenuta) pia come quella di Aycelin: “Il Tempio mi ha insegnato tante cose veramente degne di nota, ad esempio che si può anche combattere un popolo che ci è nemico, che professa un’idea religiosa diversa dalla nostra, che è portatore di aspirazioni e di interessi pure radicalmente diversi dai nostri, ma che, nondimeno, si può giungere ad apprezzarlo e, in certi casi, fino ad ammirarlo. E dai miei correligionari, dai miei fratelli nella Chiesa, cosa ho invece imparato? Quale dunque l’ammaestramento che debbo trarre da questa infausta vicenda?…

10. A mio avviso, nel tuo romanzo c’è un po’ di quella magia che fu di Hermann Hesse… la magia di romanzi quali “Narciso e Boccadoro”, “Il giuoco delle perle di vetro”, “Siddharta”, ma anche la grazia e la forza espressiva di un lavoro come “Il Nome della Rosa” di Umberto Eco. Come sei riuscito ad ottenere un simile risultato così tanto ben equilibrato? Non nego che leggendo il tuo romanzo ho pensato – e qui lo dico a chiare lettere – che era dai tempi de “Il Nome della Rosa” che non leggevo un’opera così forte e ben scritta.

Forse perché l’equilibrio albergava in me in grande copia? A parte gli scherzi, il tuo è un giudizio che mi onora. Un’elementare regola attinente il pudore vuole che, in tali casi, il diretto interessato si goda il lusinghiero complimento e non profferisca parola.

11. Oltre all’amicizia, quali altri valori introduce (consolida) “Aycelin Il Templare”?

Della fede religiosa abbiamo già detto. Altri valori che vengono fuori, credo in maniera molto forte, dalle pagine del libro sono quelli della dignità e dell’onore. Che si ritrovano nel mantenimento della parola data, nel ben comportarsi in battaglia, nel non venir mai meno agli ideali per i quali si è combattuto. Penso che Aycelin, uomo d’onore nel senso più nobile del termine, ritenga questi valori irrinunciabili per sé.

12. In merito al tuo stile: rarissimamente mi capita d’incontrare scrittura tanto perfetta. Questa è più una dovuta lode che non una domanda; ma se hai qualcosa da dire in proposito, dì pure.

Ti ringrazio per il complimento. Quello che posso dirti è che per essere scrittore, secondo il mio parere, occorre un naturale istinto affabulatorio, un’innata capacità di evocare, ovvero tradurre in un linguaggio compreso da (quasi) tutti quanto è possibile trarre dalla fantasia e il talento di destare interesse e curiosità con le storie che si raccontano, tutte caratteristiche che non si acquisiscono. Ma insieme a queste, nel mestiere dello scrittore, vi è tutta una serie di “strumenti” che possono essere affinati con l’impegno e il sacrificio. La dimestichezza con la sintassi e la grammatica, per esempio, o lo studio delle regole dei vari linguaggi e delle diverse tecniche creative. Insomma, se non si hanno le doti naturali a cui facevo cenno, non si riesce neppure ad iniziare a scrivere una storia, ma se non vi è un impegno costante volto ad “esercitarsi” al mestiere di scrivere, si corre il rischio di cadere in quelle che possono essere considerate le “trappole” più pericolose per uno scrittore: la piattezza narrativa e la trascuratezza stilistica. Ecco perché io, proprio per evitare di commettere quegli errori, cerco di affinare e di padroneggiare sempre di più quegli strumenti.

13. E’ possibile guardare a “Aycelin Il Templare” anche come ad opera fantasy, e se sì, perché?

Non credo che il mio romanzo possa essere guardato come ad opera fantasy. Piuttosto è probabile che questa chiave di lettura possa attagliarsi all’altro mio romanzo, Uno stregone alla corte dell’anno mille. In Aycelin non mi pare che vi siano le caratteristiche, anche solo marginali, che possano farlo rientrare in quella categoria. Romanzo storico, opera di formazione, libro d’avventura, ma non, dunque, opera fantasy.

14. Credi che ci sia una netta differenza fra il fantasy e il romanzo storico?

Non credo ci debba essere necessariamente una netta differenza; spesso, i due generi sconfinano l’uno nell’altro. Dico solo che nel mio Aycelin mancano completamente gli elementi propri del genere fantasy. E non solo perché il mio romanzo non è popolato da maghi, troll, elfi, nani e draghi, ma perché, sebbene il mondo dei templari possa essere considerato un mondo fantastico, le vicende che io descrivo non hanno nulla di propriamente fantastico. Piuttosto – così, almeno, io spero – di attraente, di avventuroso, di misterioso. Questo sì. Ma non di fantastico. Riassumendo: è fantastica la cornice che fa da contorno alla mia storia ma non le vicende che in essa traggono origine e nelle quali non v’è spazio per l’occulto o il soprannaturale (tranne Dio), né per utopiche allegorie. Insomma, io credo di aver preso in considerazione e parlato dei templari in quanto uomini e non in quanto miti.

15. Nel tuo “Aycelin” si parla anche di inquisitori il cui volto è tremendo, ma in alcuni casi umano. Perché l’inquisizione e la disfatta dell’Ordine dei templari?

Semplicemente perché l’inquisizione e la disfatta dell’Ordine dei templari sono parte integrante e sostanziale di quella fantastica epopea. Ho pensato che se non avessi fatto tappa, nel mio excursus storico, verso quei drammatici e fondamentali momenti, il mio proposito di penetrare, fin nei recessi, l’anima templare sarebbe risultato, in qualche misura, incompleto. E poi, per dirla tutta, vuoi mettere la potenza drammaturgica di quelle straconosciute pagine della storia? La ghiotta opportunità di trasferire tutto il relativo pathos sulla pagina scritta?

16. Quali i tuoi progetti per il futuro? Stai già lavorando al prossimo romanzo, e se sì, potresti darci qualche ghiotta o timida anticipazione?

Sto lavorando, ormai da alcuni mesi, sulla scalettatura e sull’intreccio narrativo di quello che, se mai vedrà la luce, sarà il mio prossimo romanzo. Dovrebbe intitolarsi “Il condottiero boemo”. Narra delle vicende di uno dei più grandi generali della storia: Albrecht Wallenstein. Il celeberrimo comandante delle armate imperiali durante la prima fase della guerra dei trent’anni. Figura inquietante e affascinante al contempo. Diciamo che incarna un po’ la figura dell’eroe negativo. A pensarci bene, l’esatta antitesi di Aycelin. Di Wallenstein parla il Manzoni nei Promessi sposi quando cita la calata delle sue truppe in Italia (i famosi lanzichenecchi) che si conclude con la presa di Mantova. A suo riguardo è molto conosciuta la trilogia teatrale che ha composto Schiller. E’, del resto, su quelle pagine che mi sono innamorato del personaggio, della sua grandezza, nel bene e nel male. Del suo sogno (o delirio) di grandezza e onnipotenza e, quale parabola della vita, della sua tragica fine. Delle sue contorte macchinazioni politiche (in buona parte, ancor oggi, incomprese nella loro reale portata dagli studiosi), della sua consapevolezza di uomo che si sente chiamato ad una missione superiore (la pacificazione tra i popoli e le diverse istanze religiose) e che accetta – tutto sommato, con dignità – la sorte che ne consegue ineluttabilmente. Va da sé che attorno a lui ruoterà tutta una serie di personaggi minori, fittizi e reali, ma non per questo meno importanti. Tra quest’ultimi un posto di rilievo sarà occupato dal grande astronomo nonché astrologo Giovanni Keplero che, nell’ultima parte della sua vita, incrocerà il suo cammino con quello di Wallenstein. E questo quale conseguenza della nota passione del generale boemo per tutto quanto avesse a che fare con gli astri e con la loro (presunta) facoltà di influenzare i destini umani.
17. Domanda ormai d’obbligo, un mio marchio temo: se Roberto Querzola dovesse rivolgere una domanda a sé stesso, che cosa gli chiederebbe? E quale risposta si darebbe?

La prima che mi viene in mente. Cosa mi aspetto da questa mia nuova e serissima avventura. E la risposta è un concentrato di amorevoli illusioni e di amaro disincanto. L’ottimismo mi deriva dalla circostanza che credo fermamente in quello che faccio, vi profondo tutto l’entusiasmo di cui sono capace e il gradimento espressomi da un buon numero dei miei lettori ne è un corroborante alimento. Il pessimismo deriva invece da alcune semplici riflessioni. Quando entro in una grande libreria sono, immancabilmente, colto da stati d’animo di disagio, sconforto, perplessità. Al giorno d’oggi si pubblica una marea di libri. Una buona percentuale di questi è rappresentata da quelli che potremmo definire instant-book o anche fast-book, cioè libri di pronto consumo e altrettanto pronto oblio. E’ evidente (e, forse, inevitabile) che siano destinati al naufragio i libri buoni e, in certa misura, utili e stimolanti. Non è novità dei nostri giorni l’enorme successo commerciale di alcuni cosiddetti best-seller internazionali. Ciò che oggi, sempre più, avvilisce e rende preoccupati è il disinteresse quasi totale dei quotidiani e dei periodici per quel compito doveroso e importante che sono le recensioni. Le recensioni, oltre ad essere diventate rare, non mostrano più né attenzione alle opere destinate a una vendita limitata, né interesse alla scoperta di libri interessanti e di qualità, perché essi non costituiscono un “evento”, che è ormai una condizione necessaria, e non rientrano nell’assistenza alla produzione delle grosse case editrici e quindi dei premi letterari ad esse riservati.

18. Assai probabile che fra le tante domande ne abbia dimenticata una importante, ragion per cui ti lascio libero di parlare a ruota libera di Aycelin, e di te anche.

Mi hai fatto così tante domande (alle quali ho risposto con estremo piacere) che non riesco proprio a trovarne altre.

19. Grazie Roberto, sei stato gentilissimo e d’una pazienza infinita.
“Aycelin Il Templare” è un Capolavoro, con la C maiuscola. E sono certo sin da ora che il prossimo tuo lavoro non gli sarà da meno. Con sincera stima ed amicizia.

Sono io a dover ringraziare te per la tua squisita cortesia e per le tue domande stimolanti e intelligenti. Naturalmente contraccambio la professione di stima e amicizia.


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