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La trama (con parole mie): in una Detroit del prossimo futuro messa all'angolo dalla violenza, Alex Murphy, poliziotto di belle speranze, è assegnato ad uno dei distretti più difficili e con la più alta mortalità tra gli agenti. Inseguendo la banda di rapinatori del ricercato Clarence Boddicker viene mortalmente ferito, divenendo di fatto il candidato ideale per il progetto che vede la realizzazione del primo poliziotto cyborg della città.
Murphy rinasce dunque come Robocop, paladino della giustizia che i vertici dell'organismo che sta dietro la polizia pensano manovrabile come un giocattolo, ma che in realtà, nei recessi della mente riprogrammata, cela ancora il carattere e l'anima dell'agente che con la sua morte ha reso possibile l'intero esperimento: è l'inizio di una nuova presa di coscienza che porterà l'Uomo a prevalere sulla Macchina mettendo in scacco gli elementi più corrotti della dirigenza delle forze dell'ordine e trovando anche il tempo di vendicarsi degli stessi rapinatori che gli portarono via la vita a suon di pallottole.
Finalmente, dopo Atto di forza e Starship troopers, giungo a quello che è, senza ombra di dubbio, il mio cult definitivo tra quelli firmati Paul Verhoeven.
Tra i film della mia infanzia, legati indissolubilmente alla golden age che furono gli eighties, Robocop conserva praticamente di diritto un posto nella decina dei miei preferiti: visto in un'epoca in cui non era poi un dramma se un ragazzetto smilzo di dieci o undici anni vedeva un film così forte per contenuti se accompagnato dalle dovute spiegazioni dei genitori - rivisto poi un milione di volte, da solo prima, con mio fratello poi -, il primo ricordo che ho di questa perla indiscutibile firmata dal regista olandese è lo sconvolgimento provato di fronte alla sequenza del vero e proprio massacro di Murphy per mano della banda di Clarence Boddicker.
Non fu tanto l'utilizzo di effetti al limite del gore - e dalle rimembranze cronenberghiane, come l'intera pellicola, del resto -, però, a lasciarmi a bocca aperta, quanto l'inclinazione violenta e priva di ogni pietà dei rapinatori, dalla mano fatta saltare all'esecuzione conclusiva: mai mi era capitato - e raramente l'episodio si è ripetuto in seguito - di trovare villains così spaventosi proprio perchè figli della realtà, senza alcuna maschera o aspetto deforme, o mostruoso.
Una sensazione che vissi soltanto un paio d'anni dopo con il Bob di Twin Peaks, anima nera, peraltro,del Leland Palmer interpretato dallo stesso Ray Wise che qui gioca il ruolo di uno dei guardaspalle di Boddicker.
Come se non bastasse, le strepitose sequenze dell'operazione volta a salvare la vita a Murphy e la successiva, giocata tutta attraverso la soggettiva del poliziotto in procinto di diventare Robocop mi parvero allora - ed in parte lo sono ancora oggi - tremendamente all'avanguardia e rivoluzionarie, momenti impossibili da dimenticare della pellicola firmata Verhoeven in cui il regista riesce al meglio ad equilibrare dramma, satira sociale ed azione: le prime imprese di Robocop sono uno splendido esempio dell'ironia del regista - il tentato stupro con la pistolettata nelle palle a distanza era un momento di grande esaltazione, ai tempi -, in grado parallelamente di costruire una storia tutta giocata sulla corruzione del potere e del denaro - Dick Jones e Bob Morton sono due personaggi che non avrebbero sfigurato in un qualsiasi estremo Wall Street - senza dimenticare tutto il brivido dell'azione sfrenata - il conflitto a fuoco nell'acciaieria è da antologia, quasi un duello western riportato alla dimensione della sci-fi urbana - ed una riflessione per nulla banale sul confronto Uomo/Macchina da fare invidia a pellicole come Existenz o Terminator.
La battaglia di Murphy per riacquisire l'umanità sepolta nelle profondità della psiche dalla trasformazione in Robocop e la sua conseguente presa di coscienza - culminata in un finale che di nuovo strizza l'occhio alla Frontiera e ad una delle battute migliori del decennio - ancora oggi paiono concrete e profonde, seppur filtrate attraverso un sorriso sardonico del vecchio Paul, che non dimentica di inserire un elemento pacchiano e tamarro per l'aggancio del protagonista ai suoi ricordi come l'acrobatico rinfoderare della pistola: un pò come i reiterati messaggi pubblicitari - uno più agghiacciante dell'altro - che verranno poi utilizzati anche nei due cult citati in apertura di post.
Un film che è una miniera di scene memorabili è che a distanza di venticinque anni non ha perso nulla del suo fascino, che lo si approcci in modo "serio" e riflessivo o alla ricerca della tamarrata action per rinvigorire qualche serata tra amici troppo spenta: atmosfere strepitose, cast perfetto, un ritmo che non perde un colpo e la capacità di trovare punti di contatto con le più disparate tipologie di pubblico.
Se fosse vivo, ad un titolo come questo, una volta terminata la visione, non resterebbe da dire altro se non: "Spari bene, figliolo. Come ti chiami?"
E lui, inarcando le labbra tra un sorriso ed una smorfia - neanche fosse il regista -, affermerebbe deciso: "Murphy".
E ad uno così ti sentiresti di affidare tutto.
MrFord
"Cause I don't want no Robocop
you moving like a Robocop
when did you become a Robocop
now I don't need no Robocop."Kanye West - "Robocop" -
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