Per la terza parte del nostro viaggio nella robotica, ci occupiamo di avatar.
L’avatar è, nel gergo di internet, l’immagine eletta a rappresentare la nostra utenza. Un succedaneo della nostra presenza reale nel mondo virtuale, la nostra proiezione.
Messa per un momento da parte l’ambizione di creare dal nulla l’intelligenza, autonoma, riproducibile, autocosciente, che di fatto comporterebbe la creazione della vita stessa, secondo obiettivo della robotica è fornire ad essa un involucro che sia in grado di mettere gli interlocutori umani il più possibile a loro agio, nell’interazione con gli androidi.
Alla base di tale ricerca è, ancora una volta, la nostra forma mentis: la nostra intelligenza è umana, funziona in questo modo perché filtrata attraverso i nostri organi di senso e attraverso la forma e i limiti del nostro corpo.
In altre parole, se la nostra umanità non corrispondesse al nostro attuale organismo, un bipede di circa sessanta-ottanta chili di media, con organi di senso limitati rispetto ad altre specie viventi, ma si incarnasse in una forma diversa, che si rapportasse in modo diverso all’ambiente esterno, la nostra intelligenza, con ogni probabilità, ne risulterebbe diversa, anche a parità di intelletto, di neuroni.
Ne consegue che, per duplicare l’intelligenza umana, nell’intenzione di creare un doppio robotico il più possibile simile a noi, al nostro modo di interagire con l’universo, dobbiamo essere in grado di duplicare anche il nostro fisico e tutta l’infinita gamma di eventi che lo caratterizza.
A tale campo di studi ha dedicato la propria esistenza il professor Hiroshi Ishiguro, dell’Università di Osaka. È l’inventore dei Geminoid.
Il Prof. Ishiguro e la sua copia
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Ishiguro, l’avrete di sicuro intravisto in qualche telegiornale, da anni è ormai impegnato nello studio e nella creazione di veri e propri doppelganger, duplicati fisici di persone realmente esistenti.
Ha duplicato se stesso, nel Geminoide H1-2.
Ha duplicato una sua assistente, nel Geminoide F.
Ha duplicato un occidentale, il Prof. Henrik Scharfe della Aalborg University, nel Geminoide DK.
Cos’è un geminoide? È un androide telecomandato, copia identica dell’originale persona vivente sulla quale è stato modellato, che è in grado di duplicare i movimenti, la voce, l’espressione e l’emotività del suo modello: è un avatar fisico.
Scopo della loro creazione è abbattere l’Uncanny Valley, quel perturbante che deriva dalla consapevolezza, nell’interazione con una macchina, di avere a che fare con una copia di un essere umano, che ci priva della naturalezza e della serenità che da una normale interazione dovrebbe scaturire. E anche, dall’altro lato, abbattere il distacco, quindi la perdità di umanità, che sta derivando dal nostro continuo abuso della tecnologia.
Si tratta, a lungo termine, di recuperare il contatto umano attraverso la macchina. O di integrare le macchine nella nostra vita quotidiana, percepirle dunque come facenti parte della nostra stessa natura.
In particolare, il Geminoid dovrebbe rispondere alla domanda fondamentale: cos’è la presenza umana?
E se questa sia riproducibile.
Riproducibile non attraverso carne e sangue, ma circuiti e silicone.
Può l’apparenza ingannare i nostri sensi a tal punto da superare il disagio?
Forse il filmato seguente può rispondere, in parte, al quesito: il Geminoide F, in una vetrina di un negozio a Tokyo, aspetta qualcuno…
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Ishiguro stesso ha dichiarato che il suo campo di studi è dedicato più all’essere umano che ai robot. Studiandone infatti il metodo di interazione e riproducendolo, è certo di poter ricreare la natura umana. Suo è un teatro in cui attori in carne e ossa interagiscono con Actroid programmati, per testare, con gli spettacoli, quanto a lungo gli esseri umani accettano la presenza di androidi senza essere sopraffatti dal disagio.
Trattasi di androidi radiocomandati, è vero. Ma non è tutto. Perché ogni Geminoide, pur riproducendo gesti e movimenti e voce dei loro originali, è anche in grado di interagire autonomamente rispetto a certi stimoli esterni, tramite una serie di sensori.
Ad esempio, percepisce gli oggetti intorno a sé e gli spostamenti, riesce a mantenere, durante le conversazioni, il contatto visivo con gli interlocutori, reagisce se toccato, nella maniera più spontanea possibile.
Toccando un orecchio, ad esempio, indurremo il geminoide a voltarsi di scatto, e via dicendo…
Tante e tali sono le possibilità espressive di questi androidi che il Prof Ishiguro è certo che l’interazione con essi possa sempre risultare diversa, rafforzando quindi l’illusione di avere a che fare con una creatura unica.
Nel caso del Geminoide F del video, l’androide non parla, né interagisce, ma comunica stati d’animo attraverso la semplice espressività: trasmette attesa, ansia, riflessione.
Ci illude a credere che possa provare sentimenti, anche se non è così.
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Il successo dell’esperimento è nell’esatta comprensione da parte nostra dei movimenti dei robot. Noi interpretiamo sorrisi, battito di palpebre, scrollate di capo, col significato che noi esseri umani siamo soliti attribuire a questi atteggiamenti, perché semplicemente riprodotti da un costruito che imita la nostra forma.
Esso non ha coscienza, se non nella misura in cui viene manovrato da un altro essere vivente.
Ma la robotica non è solo imitazione, abbiamo visto, pretende di fornire all’automa la volontà dietro ogni azione che compie, e che queste siano il più simili alle nostre.
Ecco perché alcuni sostengono sia un compito troppo gravoso ricreare l’intelligenza umana: infinite variabili, troppo imprevedibili noi stessi, per tentare di riprodurci artificialmente, paradossalmente incontrando difficoltà nel ricreare compiti quali vedere, camminare, correre, notare dettagli, che per noi sono automatici. Mentre si pensa che, probabilmente, sarebbe più semplice ricreare forme di intelligenza inferiori, dettate magari da puro istinto: come gli insetti.
Ma di questo ne riparliamo nelle prossime puntate.
Link Utili:
Parte I
Parte II