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Robots di Chris Wedge e Carlos Saldanha. Perché essere tu quando puoi essere di più?
Creato il 26 aprile 2012 da SpaceoddityIn un mondo abitato solo da robot, l'inventore, il vate, Big Weld è drogato dalla sua stessa genialità e chiuso a indagare le possibilità di sviluppo del domino. Al suo posto, guida la città e l'industria di pezzi di ricambio Ratchet, ispirato dalla perfida e ossessiva madre, Madame Gasket, che gestiste la fonderia. Sotto di loro vengono lanciati nuovi modelli di robot e si interrompe la produzione dei vecchi pezzi di ricambio; in più, si raccattano per strada, come se si fosse accalappiacani, tutti i robot ormai fuori uso che non possono essere riparati. Ma dietro quei circuiti spezzati, quegli arlecchini di scarti, ci sono persone con tanta voglia di vivere e di farcela. Lo sa bene Rodney Copperbottom, che da grande vuole fare l'inventore e va nella capitale per realizzare il suo sogno. In fin dei conti, sembra rispondere alla madre, perché puoi essere tu, quando puoi essere di più?
Il problema è che lo stesso identico motto viene sbandierato dal crudele Ratchet: perché essere brutti e vecchi, se si può essere giovani e belli (pagando, s'intende)? Il fatto è che il più e il meno sono già codificati con un criterio estetico di massa, che prescinde dalla disponibilità economica e dalla sensibilità personale di coloro ai quali questi spot dittatoriali vengono rivolti. La dittatura nasce dal fatto che, guarda caso, siamo in regime di monopolio: se è l'industria che decide ciò che è legale e ciò che non lo è essere brutti e vecchi, rovinati, è pericoloso, anzi fonte di morte sicura, personale e sociale. Come in Galline in fuga, si ricava il massimo del guadagno distruggendo l'esistente e fornendo un nuovo packaging a beneificio di un ente fornitore, qui esclusivo.
Robots non aspira alla completezza del saggio, né ha la pedanteria del film a tesi, ma individua un messaggio di un non irrilevante peso esistenziale: essere di più, non è altro dall'essere tu, bensì ne è un compimento, un cammino di crescita. Robots non è tanto un "romanzo di formazione per robot", sebbene vi si parli del cammino di crescita di un piccolo: nel romanzo di formazione c'è un io che è altro alla fine del cammino (infante vs adulto con un io che ricostruisce la differenza attraverso la memoria): qui l'alternativa è tra l'essere sé stessi e l'essere sé stessi in modo più appariscente, più spendibile. Robots è crudele con chi soffre: con la sua buffa e sbrigliata energia, in questa festa eterna del citazionismo - da Matrix al Signore degli Anelli - che è il cinema d'animazione americano, il film di Wedge e Saldanha non risparmia ragioni di ansia.
Doppiato da alcune delle voci più celebri dello star system (Ethan Hawke, Halle Berry, Robin Williams, Mel Brooks, Stanley Tucci), Robots sembra ripensare pellicole su pellicole, quale ironico controcanto di tematiche affrontate altrove, come esplicita cinematografia di secondo livello. Del resto, questo non vuol dire "di secondo piano": è innegabile che, se si escludono gli aspetti tecnici, ciò accade al migliore cinema classico (Marlene Dietrich e Greta Garbo diventano Marlene Dietrich e Greta Garbo quando acquisiscono la sicurezza nell'autocitazione). In più, Robots ha una sua identità e riesce a convogliare spunti diversi in una storia che si regge benissimo da sé. Non per dire che è un capolavoro (trovo, per esempio, che Wall-e, affine per molti spunti, gli sia di gran lunga superiore), ma per sottolineare che ogni storia - ogni messaggio - ha bisogno di una sua tecnica narrativa e Robots ha trovato la sua.
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