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Rocce ricche di silice: un puzzle attuale sul passato di Marte

Creato il 20 dicembre 2015 da Aliveuniverseimages @aliveuniverseim

Troppa inspiegabile silice su Marte, un sacco di silice. Questo è quello che ha rilevato Curiosity negli ultimi sette mesi di missione, gettando un alone di mistero sul passato geologico del cratere Gale.

La silice (SiO 2) è una sostanza formata da elementi a base di silicio ed ossigeno.
Sulla Terra è molto diffusa. Si trova all'interno di rocce sedimentarie, metamorfiche, magmatiche e forma minerali comuni come il quarzo ma ora si è scoperto che anche sul Pianeta Rosso è altrettanto presente e costituisce ben nove decimi di alcune rocce.

Tuttavia, questa elevata concentrazione è davvero un mistero:
"Si può aumentare il contenuto di silice o per liscivazione o trasportando la silice da qualche altra parte", ha spiegato nel report Albert Yen, scienziato del team Curiosity. "Uno di questi processi coinvolge l'acqua", ha aggiunto.
L'acqua acida agirebbe da solvente portando via gli ingredienti solubili e lasciando la silice; al contrario, un'acqua alcalina o neutra potrebbe trasportare e depositare silice disciolta.

Al puzzle geologico marziano si aggiunge il tridimite, trovato nel campione prelevato da Buckskin (pelle di daino), un minerale già raro sulla Terra ma mai visto su Marte. Di solito la sua formazione è legata alle alte temperature in rocce ignee o metamorfiche ma quelle esaminate da Curiosity sono a grana fine stratificate, interpretate fino a prova contraria come sedimenti di antichi fiumi e laghi. Inoltre, la tridimite si trova in depositi vulcanici con alto contenuto di silice mentre su Marte sono decisamente più abbondanti i basalti, tipo quelli che sulla Terra abbiamo alle Hawaii. Questo minerale, perciò, potrebbe indicare un'evoluzione magmatica sul pianeta.

Rocce ricche di silice: un puzzle attuale sul passato di Marte

Buckskin: risultati dell'analisi a diffrazione di raggi X della Chemistry and Mineralogy (CheMin), in cui si nota il picco di tridimite, un minerale rilevato per la prima volta su Marte.
Cresit: NASA / JPL-Caltech / MSSS - Fonte: planetary.org

Le "letture anomale" hanno interessato più che altro la zona di Marias Pass dove il rover si trovava a transitare questa estate, in concomitanza di alcuni eventi fortuiti avvenuti intorno al sol 1.000.
Mentre parte del team era concentrata sulla geologia del luogo, le squadre di ingegneri erano alle prese con la risoluzione del corto circuito che aveva colpito il trapano nel sol 911. Contemporaneamente, la Chemistry and Camera (ChemCam), la fotocamera utilizzata dal rover per analizzare la composizione chimica attraverso lo spettro emesso delle rocce marziane vaporizzate con il laser, aveva manifestato problemi di messa a fuoco. Parallelamente, lo stesso team stava lavorando ad una calibrazione più precisa dello strumento, aumentando la libreria di campioni da 66 a 450 rocce.
Le tre settimane di congiunzione nel mese di giugno, hanno offerto momenti di incontro e riflessione: in una di queste occasioni la squadra del DAN (Dynamic Albedo of Neutrons) ha riferito di aver avuto letture insolitamente alte di neutroni durante il sol 991.
Questo strumento spara neutroni sul terreno mentre i sensori rilevano come vengono riflessi: quando un neutrone si scontra con un atomo di idrogeno, allora rimbalza con una caratteristica diminuzione di energia. Generalmente, quindi, più è alto il numero di neutroni riflessi e maggiore è l'abbondanza di idrogeno nel terreno. Nel frattempo, la squadra della ChemCam aveva usato la sua nuova calibrazione in versione beta, rilevando casualmente un grande contenuto di silice nello stesso posto in cui il DAN aveva letture sopra la media. Ben due dati anomali che hanno convinto gli scienziati ad approfondire.

"L'alto contenuto di silice è stato una sorpresa, così interessante che tornammo indietro per indagare con altri strumenti", ha detto Jens Frydenvang del Los Alamos National Laboratory nel New Mexico e dell'Università di Copenhagen, Danimarca.
Buckskin era stato il primo dei tre campioni raccolti in quel periodo, seguito da Big Sky e Greenhorn.

Oltre Marias Pass la Chemistry and Mineralogy (CheMin) e lo Alpha Particle X-ray Spectrometer (APXS) hanno trovato alte concentrazioni di silice negli aloni pallidi che circondano le fratture dell'Unità Stimson, la giovane zona di arenaria scura alla base del Monte Sharp più resistente all'erosione rispetto al fango indurito chiaro di Pahrump Hills.

Rocce ricche di silice: un puzzle attuale sul passato di Marte

Esempio di alone dell'Unità Stimson, la cosiddetta " croce di Marte". Sol 1083 (23 agosto 2015).
Credit: NASA/JPL-Caltech

Con il foro in Big Sky, Curiosity aveva analizzato un punto della roccia lontano dalla frattura, con Greenhorn, che si è mostrato più ricco in silice ma senza alcuna traccia di tridimite, aveva assaggiato una di queste aureole chiare. Questa volta la silice si è presentata in gran parte sotto forma di opale non cristallino che, purtroppo, si può formare in una grande varietà di ambienti, sedimentari, depositi termali, rocce lisciviate e quindi non aiuta a risolvere l'enigma.

Rocce ricche di silice: un puzzle attuale sul passato di Marte

Analisi del contenuto di silice su Big Sky e Greenhorn. Credit: NASA / JPL-Caltech / MSSS - Fonte:
planetary.org

Il primo passo per risolvere il mistero sarà capire se la tridimite marziana ha origine vulcanica o no:
"molti di noi sono nei laboratori per cercare se c'è un modo di produrre tridimite senza alte temperature", ha detto Liz Rampe del Johnson Space Center.

Finora, l'ipotesi migliore è che la silice ed altri minerali più resistenti siano rimasti il loco dopo un'attività di dilavamento.
Le letture APXS, infatti, dimostrano che nei punti con più alte concentrazioni di silice, c'è anche un' abbondanza di titano (già rilevata da Spirit nei pressi di Home Plate) che è un altro minerale che non si scioglie facilmente con l'acqua.

"Quello che stiamo vedendo sul monte Sharp è totalmente diverso da quello che abbiamo visto nei primi due anni della missione", ha detto il Project Scientist Ashwin Vasavada del JPL. "C'è così tanta variabilità all'interno distanze relativamente brevi. La silice è un indicatore di come è cambiata la chimica. E 'una scoperta poliedrico e curiosa", ha aggiunto.

I risultati sono stati presentati all'incontro dell' American Geophysical Union (AGU).


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