Un ammaliamento musicale dalle caratteristiche quanto mai diverse ha caratterizzato ieri, venerdì 24 agosto, la penultima serata del Roccella Jazz Festival, presso il Teatro al Castello, tra piacevoli conferme e pregevoli innovazioni (queste ultime, almeno per quanto mi riguarda, sono ancora in fase di lenta metabolizzazione).
Paolo Damiani
Riguardo le prime, difficile non rimanere stregati e sentirsi piacevolmente avvolti dalla morbidezza e rotondità esecutiva espresse da ogni singolo componente della Radar Band di Paolo Damiani (Paolo Damiani, violoncello, composizioni; Cristiano Arcelli, sax, arrangiamenti; Ludovica Manzo, voce; Francesco Fratini, tromba; Luca Aquino, tromba; Massimo Morganti, trombone, sax baritono; Luigi Masciari chitarra; Michele Francesconi, pianoforte; Daniele Mencarelli, basso; Alessandro Paternesi, batteria; ospiti Francesco Loccisano, chitarra battente e tba percussioni etniche), sia in assolo che come ensemble, per una perfetta armonia vocale e strumentale.Coerentemente con il tema di questa 32ma edizione, Cose turke, fil rouge tra i vari brani è stato il romanzo Il museo dell’innocenza (Einaudi, 2009) dello scrittore turco Orhan Pamuk (premio Nobel per la Letteratura nel 2006), del quale sono stati letti alcuni stralci, riuscendo a miscelare classicità e ricerca di nuove sonorità, grazie anche agli arrangiamenti di Cristiano Arcelli, con più di un’ attenzione volta alle sonorità proprie del bacino del Mediterraneo, da sempre luogo privilegiato d’incontro e confronto tra culture, lingue, religioni (il brano “popolare” interpretato da Ludovica Manzo, la chitarra battente di Loccisano).
Così come nel suddetto romanzo di Pamuk il protagonista dà vita ad una raccolta di vari oggetti appartenuti alla donna amata, per placare il dolore di un passato, forse lieto, che non tornerà più (“l’uomo può solo cercare di essere felice e sforzarsi di dimenticarlo”), cristallizzando in essi l’atmosfera di un tempo e i suoi lampi più luminosi, così questo nuovo progetto di Damiani, il cui tema conduttore ritorna più volte durante l’esecuzione, unendone l’inizio e la fine, rappresenta musicalmente la concentricità circolare della vita stessa, dove il ricordo dei tanti momenti vissuti, tra rimpianti e liete rimembranze, ne rappresenta il significato essenziale.
Nils Petter Molvaer
Venendo al secondo concerto in programma, Molvaer/Aarset/Bang (Nils Petter Molvaer, tromba; Eiving Aarset, chitarra; Jan Bang, live sampling), le note lancinanti e, a volte, inquietanti, della tromba di Molvaer, accompagnate dai graffi della chitarra elettrica di Aarset e dall’improvvisazione elettronica di Bang, hanno creato un’atmosfera tanto elegante, rarefatta e suggestiva, quanto straniante come impatto complessivo, probabilmente un po’ fredda e veramente coinvolgente solo per la pregevole mescolanza, apparentemente grezza, quasi una sorta di collisione, tra più generi musicali, con il filtro degli effetti elettronici a garantire una comunque apprezzabile linearità personalizzante: forse il futuro del jazz o il jazz del futuro, che dir si voglia, ma questa, come si suole dire, è un’altra storia e vi saranno certo altre occasioni per parlarne.