Anno: 2012
Distribuzione: Warner Bros
Durata: 123′
Genere: Musicale
Nazionalità: USA
Regia: Adam Shankman
È stato un musical di successo a Broadway, un inno a quei raggianti anni Ottanta fatti di rock pesante, dove le chitarre elettriche erano un tutt’uno con le voci squillanti dei cantanti metal. Era Rock of ages, opera musicale scritta da Chris D’Arenzio, ora proposta in forma di lungometraggio per quelle grandi masse che, magari, ancora non la conoscevano.
Siamo nel 1987 e, nella famosa Sunset Strip di Hollywood, regna incontrastato un locale dove ogni rockettaro duro e puro ha il suo quotidiano appuntamento con la storia della musica pesante.
Un posto destinato a fare da sfondo all’incontro tra Sherrie (Julianne Hough) e Drew (Diego Boneta), alla lotta tra il padrone Dennis (Alec Baldwin) e il bigottismo di Patricia Whitmore (Catherine Zeta-Jones), moglie del sindaco intenzionata a far chiudere il locale, e all’arrivo della star musicale Stacie Jaxx (Tom Cruise).
Il tutto, al tempo di pezzi che hanno fatto al storia del genere nel decennio reaganiano e che, ancora adesso, ci fanno sognare.
La prassi, quindi, è quella dei vari Mamma mia! e Across the universe, ovvero bissare cinematograficamente un successo teatrale fatto a suon di note musicali, quando dance (gli ABBA, il primo), quando beat (i Beatles, il secondo).
Nel caso di Rock of ages, abbiamo, tra le molte, riletture di titoli storici dei Foreigner (I want to know what love is), dei Def Leppard (Rock of ages), dei Twisted sister (We’re not gonna take it) e dei Journey (Any way you want it e Don’t stop believin’).
Il regista scelto per l’occasione è la garanzia in materia Adam Shankman (suo fu Hairspray-Grasso è bello!), e bisogna dire che il suo operato riesce nell’impresa di soddisfare le aspettative, riempiendo di colori e note musicali circa 123 minuti ricchi d’ironia e nostalgia, con il meglio del lato hard del suono rock.
Comparsate musicali d’eccezione e presenza corposa di una cantante esperta come Mary J. Blige, facente parte di un cast in stato di grazia che va da una sbalorditiva Zeta-Jones (nell’ambito del musical aveva già vinto un Oscar con Chicago) a un sempre affidabile Paul Giamatti, nel laido ruolo dell’impresario musicale Paul Gill; fino all’accoppiata Baldwin/Russell Brand (quest’ultimo è l’ambiguo Lonny), che si scambia battute divertenti con un certo ritmo, e il clou raggiungibile con Cruise, tutto mosse sensuali e presenza da sturbo per le giovani donne. Lasciando un segno non banale nell’operazione, seppur sopportabile fino ad un certo punto.
Ma alla fine, tutto viene preso con il giusto piglio nostalgico e celebrativo.
Mirko Lomuscio