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Rock of Ages

Da Dietrolequinte @DlqMagazine
Rock of Ages: i Ruggenti Anni ’80

È davvero un peccato che in Italia pubblico e musical cinematografici abbiano sempre legato poco. Ed è anche sorprendente visto che stiamo parlando di un paese che premia la musica solo quando viene proposta dentro contenitori televisivi di dubbia qualità come “Amici”, “X Factor” o “Sanremo”. Quando poi si tratta di musical veri e propri (cioè nati per il teatro) inutile soffermarsi su cosa invece il pubblico scelga di premiare: da “I promessi sposi” a “Notre Dame” da “La Divina Commedia” a tanti piccoli epigoni nati dalla costola di una fiaba o di un LP di sicuro richiamo. Ugole potenti e talenti innegabili al servizio però della solita, ritrita brodaglia melodiosa che ricalca alla perfezione gli stilemi della (peggior) canzone all’italiana; in una parola stucchevoli. Al cinema si segue più o meno la stessa regola dato che negli anni sono stati affossati (in termini d’incassi s’intende) sia le versioni cinematografiche di capolavori come “The Phantom of the Opera” che gioielli innovativi come “Across the Universe” dove veniva riletto il repertorio dei Beatles in chiave inconsueta e visionaria (e ci auguriamo che la stessa sorte non tocchi anche a un classico atteso per la prossima stagione come “Les Misérables” coi nomi di Hugh Jackman, Russell Crowe, Amanda Seyfried e Anne Hathaway in cartellone). I giovanissimi italiani dall’orecchio “fine” invece al cinema premiano le serie sconfinate di “Step Up” e “StreetDance” mentre del “Fame” di Alan Parker (per citare film sul sogno di successo) ignorano del tutto l’esistenza.

una immagine di Rock of Ages 2012 di Adam Shankman 620x918 su Rock of Ages: i Ruggenti Anni 80

Questa la lunga premessa-sfogo solo per meglio preparare chi legge ad una recensione che è anche la triste cronaca dell’ennesimo fiasco in Italia toccato in sorte ad un’altra trasposizione cinematografica di un successo teatrale americano. Parliamo di “Rock of Ages”, musical del 2005 che celebra i fasti del miglior rock & roll della seconda metà degli anni ’80 attraverso una storiella esile esile e una musica che più potente e significativa non si può. E non si dica che le giovani generazioni non conoscono il rock di quegli anni perché quelle note, riuscite a scavalcare un ventennio senza invecchiare di un giorno, ancora oggi vengono arrangiate e riproposte loro sotto forma di novità secondo l’attuale tendenza musicale e discografica che nulla crea ma tutto ricicla. Per di più, anche per chi conoscesse poco di quella musica e di quegli stili, “Rock of Ages” rappresenta(va) comunque un’occasione per sedersi e gustare un assaggio del meglio di una generazione, quella sanamente contaminata dalla voglia di protagonismo ma che tuttavia si accontentava di essere protagonista (anche) solo della propria storia, magari attraverso una canzone, un colpo di batteria o un riff di basso ben assestati.

una immagine di Paul Giamatti Russell Brand e Alec Baldwin 1024x682 su Rock of Ages: i Ruggenti Anni 80

Erano questi gli anni ’80, frizzanti e “luccicosi”, colorati e cotonati, quando il kitsch si esibiva con ingenua consapevolezza e veniva eretto a portabandiera del proprio individualismo. Il rock celebrato nel film ha incarnato il sogno di un ribellismo che non ha poi dato frutti (i grigi anni ’90 erano già dietro l’angolo) ma ha anche sicuramente lasciato sulla strada manciate di ottime canzoni e l’idea di un’adolescenza senza fine. Ed è questa l’aria che si respira nella pellicola sin dalla prima canzone, anzi dal primo medley, che intreccia sapientemente Sister Christian dei Night Ranger, Just Like Paradise di David Lee Roth e i Poison di Nothin’ But a Good Time presentando (quasi) tutti i protagonisti ed immergendoli (insieme a noi ovviamente) nella Sunset Boulevard di una L.A. splendente di neon rosa, pullulante di locali che odorano di birra e sudore e con le onnipresenti luci di Hollywood a tagliare il blu cobalto di un cielo da favola. È il 1987 e siamo al Bourbon dove le vicende del proprietario del locale (un sorprendente, anche per ugola, Alec Baldwin) e del suo fidato compare (Russell Brand rivelazione di “Arturo”) si intrecciano con quelle della campagnola Sherrie (Julianne Hough già cantante e ballerina in “Burlesque” nonché Ariel nel remake di “Footloose”), venuta in città con la sua valigia piena di dischi e speranze, e di Drew (il cantante messicano Diego Boneta), frustrato cameriere e futura promessa rock.

una immagine di Julianne Hough e Diego Boneta 1024x613 su Rock of Ages: i Ruggenti Anni 80

Naturalmente alla Small Town Girl e al City Boy – come nella canzone dei Poison – occorreranno pochi istanti prima di capitolare l’una nelle braccia dell’altro (per poi lasciarsi e infine riprendersi come nelle migliori favole alla “Grease”) e sono l’unica concessione pop e giovanilistica che il film si concede per compiacere, con gentilezza, anche il pubblico under 20. Tutti gli altri invece contribuiscono (meravigliosamente) ad arricchire quel sottobosco anni ’80 fatto di proprietari capelloni, cinici impresari (Paul Giamatti come sempre impeccabile) e rock star in perenne coma etilico con seguito di discinte groupie pronte per l’uso (Stacee Jaxx-Tom Cruise in una delle trasformazioni più mirabili della sua carriera). Tutto il resto è storia (del rock) con classici rivisitati in chiave spesso hard e a volte più easy, attraverso i quali i protagonisti dialogano fra loro e con noi, come accadeva già in “Across the Universe” o “Moulin Rouge!” ma con in più una buona dose di consapevole autoironia. Questo perché il regista Adam Shankman, che viene da Glee e ha firmato anche la versione cinematografica di “Hairspray”, ha deciso di dare spazio non tanto al lato oscuro di quegli anni (droga e perdizione non sono presenti) quanto al loro lascito più gioioso e solare dando luogo ad una celebrazione positiva, benché venata di nostalgia, del più multicolore dei decenni passati.

una immagine di Alec Baldwin e Tom Cruise 1024x682 su Rock of Ages: i Ruggenti Anni 80

E la gioia, sembra suggerire, viene essenzialmente da tre cose: amore, musica e, naturalmente, sesso (anche “quel” sesso che negli anni ’80 non si poteva dire come ben sottolineato da Can’t Fight This Feeling dei REO Speedwagon, qui utilizzata in chiave ironica ed alternativa a coronamento di un sentimento inespresso). A voler cercare un lato oscuro nel lungometraggio questo potrebbe trovarsi essenzialmente nella bigotta e impettita Patricia Whitmore (una sempre sensazionale e mozzafiato Catherine Zeta-Jones), moglie del sindaco impegnata in una crociata anti-rock che poi non è nient’altro che la sua personale rivalsa contro uno Stacee Jaxx colpevole di averla sedotta e abbandonata. Sulle note di We Built This City degli Starship che incontrano i Twisted Sister di We’re Not Gonna Take It si consuma il trascinante prefinale che vede sfidarsi le bacchettone seguaci della moglie del sindaco con i rockettari in difesa del Bourbon a rischio chiusura: uno dei tanti momenti di antologia di un film destinato a diventare un piccolo classico. E se il romanticismo è tutto affidato alle liriche fra gli amanti stereotipati Sherrie e Drew (e More Than Words che incontra Heaven sembra proiettare la pellicola fin quasi verso “Grease”) non dimentichiamo i fuoriclasse che, a parte la già citata Zeta-Jones (protagonista anche di una scatenata Hit Me With Your Best Shot di Pat Benatar in chiesa e con tailleur d’ordinanza!), annoverano una Mary J. Blige dalla voce regina e un Tom Cruise rivelazione assoluta.

una immagine di Mary J. Blige 1024x682 su Rock of Ages: i Ruggenti Anni 80

È lui il cuore esagerato e grottesco di “Rock of Ages”, la figurina kitsch e maledetta in felice sospensione fra Axl Rose e Jim Morrison (come dichiarato dallo stesso Cruise) che regala al film le scosse più forti cimentandosi con classici dei Guns N’ Roses (Paradise City) e soprattutto una devastante Pour Some Sugar on Me che non sfigura affatto con l’originale dei Def Leppard; voce a effetto, mimesi coreografica perfetta e un fisico (a cinquant’anni suonati) sempre bestiale! Chi non si alza in piedi durante questo pezzo o è sordo o è morto. Ma è tutto il lungometraggio comunque a mettere a dura prova il battito dei piedi perché è impossibile resistere al suo movimento e all’incontrollata energia che sprigiona dalle sue sequenze musicali (vogliamo parlare anche della sensazionale Any Way You Want It cantata da Mary J. Blige e un pugno di sensazionali spogliarelliste acrobatiche?). Insomma pochi film sono stati insuccessi (in Italia) come questo e pochi flop possono vantare da subito di diventare dei cult come “Rock of Ages”. Il consiglio, per tutti gli amanti della buona musica, della commedia e del rock melodico anni ’80, è quello di cercarlo e di recuperarlo subito al cinema o in arena (perché, va detto, questa è opera maledettamente estiva). Alla fine avrete voglia di rivederlo o riascoltarlo, proprio come rimettere daccapo un cd o un vinile. Gli amplificatori sono tutti avvisati…

una immagine di Tom Cruise 620x413 su Rock of Ages: i Ruggenti Anni 80


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