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1987. Mentre nell’industria musicale stanno maturando i tempi per un passaggio dal rock al pop, una bella ragazza proveniente dalla provincia americana (Julianne Hough, una sorta di incrocio tra Christina Aguilera e Jennifer Aniston) si trasferisce a Los Angeles nella speranza di affermarsi come cantante. Qui, grazie all’aiuto di un ragazzo con aspirazioni da musicista appena conosciuto (Diego Bonita), si ritrova subito a lavorare come barista nel celebre "Bourbon Room", lo storico locale dove in passato si sono esibiti alcuni dei principali gruppi rock nazionali. Le cose iniziano però a complicarsi quando la nuova amministrazione losangelina decide di dichiarare guerra al luogo di esibizione notturno, cercando un pretesto legale per farlo chiudere al fine di liberare i giovani dai vizi propri di una vita all’insegna del rock.
A tratti molto divertente, Rock of Ages fa felicemente leva su una serie di personaggi di contorno ben scritti e ottimamente interpretati, che funzionano molto bene: la moglie bacchettona del sindaco di Los Angeles che si fa paladina della battaglia contro il rock (Catherine Zeta-Jones), l’appassionato padrone del "Bourbon Room" (Alec Baldwin), il manager arrivista (Paul Giamatti), ma soprattutto la scoppiettante ed esilarante super-rockstar perennemente sballata Stacee Jaxx (Tom Cruise). Decisamente meno riusciti sono però i personaggi dei due ragazzi protagonisti Drew e Sherry, sin troppo stereotipati e la cui storia d’amore con inevitabile crisi temporanea è appena abbozzata, non riuscendo a rivelarsi appassionante a tal punto da reggere nella fondamentale parte centrale della narrazione, che si trascina con fatica tra un numero musicale e l’altro. Tratto dall’omonimo musical di Broadway di Chris D’Arienzo e sceneggiato dallo stesso D’Arienzo con Justin Theroux e Allan Loeb (co-autore del tutto fuorché memorabile script di 21), Rock of Ages è dunque un film discontinuo che va a corrente alternata, entusiasmando in taluni momenti (tutte le scene in cui è presente Tom Cruise/Stacee Jaxx, più una serie di situazioni che vedono protagonisti in particolare Paul Giamatti e Catherine Zeta-Jones) ma presentando anche degli evidenti cali di ritmo (le due ore di durata appaiono eccessive). Se le coreografie e i numeri musicali sono indubbiamente di buona fattura e la regia di Adam Shankman è dignitosa, a non convincere è un aspetto essenziale per qualsivoglia tipo di musical che si rispetti: l’evoluzione della storia e in particolar modo della psicologia dei protagonisti attraverso lo sviluppo dei numeri musicali. Cosa che ad esempio funzionava meglio in due musical recenti e diversissimi tra loro (il primo più riuscito del secondo) come Across the Universe (2007) e Burlesque (2010).
Spassoso l’inno finale al rock con sbeffeggio del pop commerciale stile boy band che stava per emergere prepotentemente nell’ultimo decennio del ventesimo secolo, anche se, come più di qualcuno ha giustamente fatto notare, quel rock anni ottanta era già una versione edulcorata e tendente al commerciale della grande stagione rock sviluppatasi nei due decenni precedenti. Questa considerazione storico-musicale comunque, che si contrappone con evidenza alle convinzioni dell’ideatore del musical D’Arienzo, non è certo il principale problema di Rock of Ages.
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