Avevano attraversato Ponte Vecchio zigzagando per la strada deserta. Camminavano nel silenzio delle tre mattutine, rotto soltanto dal placido sciabordio dei flutti, da qualche rivitalizzante botta nei coglioni scambiata vicendevolmente di tanto in tanto e dallo strascico dei loro piedi, risultato di un afterhour particolarmente etilico in un’osteria nel profondo dell’urbe, in cui erano andati ad infilarsi subito dopo il concerto. La performance era andata benissimo.
Ponte Vecchio, Firenze
Santo aveva vegetato sul palco con la disinvoltura di un leone stiloforo finché il fonico, esasperato, non aveva optato per l’eutanasia, staccando dall’amplificatore il cavo collegato al suo basso. Janfree aveva offerto alla platea l’ennesima prestazione da saltimbanco mercuriale, irritante ed ironico. Ai suoi fianchi Ben, impettito come un piccione dietro la sua Gibson Flying V, e Spino, con chitarra ad altezza uccello e le labbra incrinate nel solito ghigno rochenrol appena accennato, beffardo e sardonico. Alle loro spalle, per un’ora e mezza Sam aveva meravigliosamente scandito il tempo, picchiando come un carrettiere con la sua solita espressione da emorroidi. Poi fra complimenti e salamelecchi (inclusa qualche palese leccata di culo) si erano diretti in fila indiana al bancone per il primo rifornimento di Menabrea ghiacciata a dovere. Ben aveva afferrato le cinque pinte spillate a regola d’arte che il barbaman gli porgeva, stringendosele al seno come un quintetto di gemelli al termine di un parto perfetto.
Camminavano in formazione d’attacco, Spino e Jan davanti, Ben dietro, affiancato dalla sezione ritmica. Nella via dove si trovavano ora (una cavolo di via da passeggiata dannunziana, con lampioncini liberty a muro e beole in puro basalto) stava parcheggiato un Fiorino bianco, infelice et immoto. I primi lo superarono sui fianchi, seguiti dagli altri due. Erano arrivati all’altezza delle portiere quando sentirono un tonfo sordo, terribilmente simile a quello di un suicida dal terzo piano. Si voltarono indietro tutti e quattro all’unisono, accorgendosi che Ben non era con loro. Lo videro svoltare barcollando un angolo del furgoncino che, nella sua immensa lobotomia, aveva centrato in pieno: gli occhiali storti e un’acconciatura vagamente opinabile sotto il cappuccio del parca color verde oliva. “Ma porcaputtana – esclamò niccianamente con un suono gutturale simile ad un aspirapolvere – chi cazzo mi ha parcheggiato il furgone in mezzo ai coglioni!”
Questo nostro imprevedibile Mike
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