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Rocky Balboa (2006): recensione

Creato il 23 agosto 2013 da Mcnab75

rocky balboa

Rocky Balboa
di Sylvester Stallone
USA 2006

Ieri sera mi chiedevo quale fosse l’utilità di recensire un film del 2006, di cui siti di cinema ben più autorevoli di questo mio blog hanno già parlato anni fa, con maggiore competenza.
Poi mi sono accorto del perché desideravo parlarne: per un gesto d’amore.
Alla saga di Rocky avevo già destinato un post sul defunto Blog sull’Orlo del Mondo, ma non vale nemmeno la pena linkarvelo. Ero giovane e forse non mi ritroverei (non del tutto) in quelle parole.
Sicché eccoci qui, oggi, a parlare di Rocky Balboa, ultimo film con protagonista lo Stallone Italiano.
Un personaggio che ha fatto storia, più di Rambo (parere mio), tanto che a Philadelphia c’è un museo dedicato al pugile interpretato da Sylvester Stallone. Esatto: dedicato al personaggio, non all’attore. Il che dà le proporzioni di quanto Balboa faccia parte del tessuto dell’immaginario del mondo occidentale.

Rocky Balboa è un film amaro.
Lontano dal patriottismo splendido e grottesco di Rocky IV (capolavoro a prescindere), e lontano anche dai primi capitoli della saga, strutturati sulla misura di un’America che non esiste più.
E qui vale la pena spendere la prima riflessione: Rocky è gli USA, e viceversa. Immigrato italiano squattrinato e senza prospettive, Balboa vive il sogno americano, dalle stalle alle stelle e ritorno (vedi Rocky V). Nel sesto capitolo, quello che esaminiamo oggi, Rocky è un eroe anziano, un’icona cittadina e nazionale, che però vive in una dimensione casalinga, nel contesto di una Philadelphia che non è più quella degli anni ’70, negli Stati Uniti post guerra fredda che hanno smarrito in parte la loro identità.

philadelphia-rocky-escape

Rocky è l’americano che ha visto i tempi passare, con le sue disgrazie (la morte di Adriana, per un tumore al seno), coi suoi fulgori, con tutto ciò che c’è stato nel mezzo, e che la globalizzazione ha cannibalizzato, nel bene e nel male.
Non a caso l’avversario (sul ring) di questo film, è Mason Dixon, giovane pugile di colore, tutto sponsor, rap, metodi da duro in rivestimento platinato. Un Mario Balotelli della boxe, se mi capite. Un figlio di questi tempi senza bandiere, tranne quella verde del dollaro. Un guerriero senza anima, ma non per colpa sua (e questo è un aspetto giustamente sottolineato nel film).

Però noi passiamo oltre. Non ci interessa sapere qual è il messaggio che Stallone (qui anche regista) ci vuole trasmettere, ammesso che questo messaggio esista.
Il secondo aspetto di Rocky Balboa che mi piace sempre ricordare è quello filosofico. Sì, perché lo Stallone Italiano è l’unico filosofo di cui ho mai avuto realmente bisogno.

Hai permesso al primo fesso che arrivava di farti dire che non eri bravo. Sono cresciute le difficoltà, ti sei messo alla ricerca del colpevole e l’hai trovato in un’ombra… Ora ti dirò una cosa scontata: guarda che il mondo non è tutto rose e fiori, è davvero un postaccio misero e sporco e per quanto forte tu possa essere, se glielo permetti ti mette in ginocchio e ti lascia senza niente per sempre. Né io, né tu, nessuno può colpire duro come fa la vita, perciò andando avanti non è importante come colpisci, l’importante è come sai resistere ai colpi, come incassi e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarti… così sei un vincente!

Banale? Scontato? Demagogico?
Io lo trovo più che altro micidiale come un dritto sul muso. Poi sì, il radical chic può rompermi i coglioni con lo spessore intellettuale, col machismo e con mille altre psicopippe. Io, invece, mi ritrovo nella citazione appena riportata, e sfido chiunque di voi, purché dotato di un minimo di onestà mentale, a contraddirne il contenuto.

Questo è quanto, senza tirarla troppa per le lunghe.
Che poi Rocky è un personaggio, un’icona, ma anche un posto. Quel posto in cui siamo cresciuti, senza farci troppe domande sul se fosse giusto o meno parteggiare per un italo-americano che fa a cazzotti sullo sfondo di una bandiera statunitense.
Erano i nostri luoghi, i nostri tempi.

Io credo che quando tu hai vissuto tanto tempo in un posto, tu sei quel posto. (Rocky Balboa)

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Quest’articolo è dedicato all’amica Lucia Patrizi, Rockyana di ferro, come me.

(A.G. – Follow me on Twitter)


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