(Roger & Me)
Regia di Michael Moore
PAESE: USA 1989
GENERE: Documentario
DURATA: 91’
A Flint, città natale di Michael Moore, la General Motors – che va a gonfie vele – licenzia 30.000 lavoratori. Motivo? Spostarsi in Messico dove la manodopera costa meno. Moore parte alla riscossa per cercare di incontrare Roger Smith, presidente della società, e per convincerlo a venire a Flint a spiegare le vere ragioni di quella chiusura.
Primo film di Moore, regista d’assalto, mite per carattere ma indignato per indole, alle prese con una delle più grandi tragedie sociali dell’America di fine millennio. Più che per la “caccia” a Smith (con cui Moore riesce a scambiare appena due parole, alla fine), il film conta per il dolente ritratto di un’America spersa e priva di riferimenti, in cui le città muoiono lentamente insieme alle ditte che chiudono. Si indaga con lucidità sugli effetti del capitalismo scellerato, sulla disumanità di un sistema che sfrutta fino all’osso e poi abbandona. È un film interessante anche per come riesce a rendere l’idea di quell’abissale distanza tra l’operaio e il datore di lavoro: Smith è irraggiungibile, lontano, dunque com’è possibile che comprenda le ragioni dei lavoratori senza mai nemmeno ascoltarli? È soprattutto un film sul tramonto del sogno americano, che infatti piacque molto poco da entrambe le parti: Smith giurò di aver avuto più di un colloquio col regista (che invece negò), gli abitanti di Flint si inalberarono per il trattamento ironico e spregiativo riservato ad alcuni di loro (un trattamento sacrosanto, a guardare ad esempio i tizi che spendono cento dollari per dormire in galera o le vecchie golfiste che sostengono che il problema del poco lavoro sia la pigrizia). L’unica cosa certa è che il messaggio arriva, e che i documentari di Moore non somigliano a nulla che si sia visto prima: mescolano spesso la grande amarezza di fondo ad una graffiante comicità (certi passi sono davvero molto, molto divertenti) e insegnano che il modo migliore per denunziare i potenti è prenderli in giro. Spesso considerato un film minore, è in realtà un esordio decisamente riuscito, lucido ed evocativo come un articolo dell’Espresso dei tempi d’oro. Da vedere.