Eccoci, finalmente, al primo capitolo dei Racconti delle stagioni di Eric Rohmer.
Ho atteso tanto, mi sono preparato tanto a quest'incontro, per ragioni che non dirò qui, che temevo di non arrivarci, come ogni volta che trattengo il fiato troppo a lungo. Ma l'oggetto di questo post non sono io, bensì il bel Racconto di primavera.
Con questo primo capitolo di un progetto morale, sintetizzato da una metafora del tempo che passa e rinasce, Rohmer ci presenta storie segnate dall'assenza, dal non detto, dall'inespresso. La protagonista, Jeanne (Anne Teyssèdre), entra in scena all'insegna della partenza improvvisa del suo uomo e vaga in una giornata in cui tutto ciò che le capita sembra una catena di messaggi da una vita che non è la sua: non può entrare nel suo appartamento, che ha dato in prestito a una cugina di passaggio, ma lì riceve un invito da un'amica che non incontrerà per una festa alla quale va per dovere, ma dove non conosce nessuno. Però lì, questa splendida insegnante di filosofia, incontra la giovane e bella Natasha (Florence Darel), che - se non è un omaggio diretto a Cechov - comunque somiglia moltissimo alle dolci e malinconiche ragazze del suo teatro, che tutto hanno perduto tra le ceneri di ciò che loro rimane.
L'amicizia tra le due donne, così diverse, si sviluppa in forma di un dialogo in cui l'omissione ha un peso maggiore delle confidenze, le parole delle persone, il pensiero dell'evento. Rohmer è autore parecchio intellettuale, eppure qui, molto più che ne Il raggio verde, avverto dietro tutta quest'astrazione il filo di una trama umana che si sviluppa sulla pelle e nell'anima di questi complessi personaggi in bilico tra la propria vita e il proprio desiderio di compiutezza. Nel dialogo tra le due donne, presto intervengono proiezioni inquiete e, in particolare, Natasha guarda alla nuova grande amica con entusiastico trasporto e un'ammirazione forse scevra dal desiderio di imparare da lei. La ragazza si comporta come se Jeanne fosse la risposta a una serie di domande di fronte alle quali la vita con lei ha taciuto sempre.
Un uomo, come imprevisto, si intromette nell'irenico dibattito su amore e sentimenti, ben prima che la sua persona diventi una realtà per Jeanne: Igor (Hugues Quester); il padre di Natasha, che si porta dietro un matrimonio fallito con l'assente madre della ragazza e una relazione al limite con una sensualissima e tutt'altro che sprovveduta donna-vampiro. La sua persona giunge, insomma, quando le dinamiche affettive e intellettuali tra le donne sembrano aver trovato un bizzarro equilibrio; o, per essere più esatti, sembra giungere a saldare quest'equilibrio.
Igor è l'uomo conteso e non amato, l'uomo simbolo di un desiderio, fragile seduttore che cede al buon senso e alla forza di volontà, più che alla ferrea intelligenza, di Jeanne (la quale, a sua volta, si vede barcollare nel dubbio di fronte alla condotta di Natasha). Igor è l'uomo che è mancato al suo ruolo di marito, di padre, amante insufficiente, l'ombra tra le donne che l'hanno lasciato a se stesso.
Con inquadrature attente a centrare i suoi personaggi, a seguirli sui loro passi, Rohmer fa delle simmetrie strumento prediletto per bilanciare le persone col vuoto da cui emergono. Che affrontino un'assenza o l'irrompere della vita altrui, donne e uomini di Rohmer non si fanno sconti nell'incontro con l'altro. Proprio per questo, abituato a veder galleggiare eroi ed eroine nel vuoto quasi astratto dei loro pensieri, lo spettatore rimarrà forse commosso di fronte al momento "sovraffollato": l'incontro tra Jeanne, Natasha, Igor e la sua amante, giustamente immortalato nella locandina del film. Senza mai giungere alla resa dei conti (Eric Rohmer non è certo regista "tragico", del soprassalto emotivo), questi personaggi "prendono atto" dell'inevitabile presenza dell'altro, prima di tornare alla loro vita, e ricominciarla con nuova linfa, dove l'hanno trovata al disgelo dell'inverno.