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ROLAND GARROS 2013 – Tsonga abbatte i resti di Federer

Creato il 05 giugno 2013 da Sportnutrizione

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Giornata dieci – Cadono gli Dei “Se voglio avere una (piccolissima, aggiungerei io) possibilità di arrivare in semifinale, dovrò giocare alla grande. Ci proverò.”. Così Rafa Nadal, sette volte vincitore del Roland Garros e più forte tennista di sempre su terra, con un pizzico di fatalismo, raccontava il suo prossimo quarto di finale. Contro Wawrinka. “Meglio Kuznetsova o Serena Williams, in semifinale?”, chiede il maghetto Santoro a Sara Errani, reduce dalla vittoria su una Agnieszka spenta come il suo finto biondo. Quella fa spallucce (come sorella minore di Inzaghi per cui “decideva il mister” e, dopo essersi dannato come un ossesso alla ricerca compusiva del goal per novanta minuti, “non importa segnare, ma che abbia vinto la squadra”) e si sbilancia “E’ sempre una semifinale al Roland Garros. Una vale l’altra.”. Serena e Sveta, pari sono. E, a questo punto, la immagino indifferente alla notizia che la furente panterona, dopo aver visto le streghe, sia riuscita a qualificarsi. E ora l’attende, placida e rassicurante. Poi, di colpo, la speranza di normalità. Lo spiraglio: tale Ormaechea, ventenne argentina di media classifica, ancora furiosa per la sconfitta con Mattek e la sua crisi di risultati, dichiara che vorrebbe dare fuoco a tutto l’impianto del Roland Garros. Normale che in un simile panorama di ingessata finzione e buonismo ad ogni costo, le (innocue, in altri ambiti) dichiarazioni di Tsonga su Federer, mettano un po’ di pepe al loro confronto. Pur rispettando il campione svizzero, il francese non capisce perché Roger seguiti a giocare. Dove riesca a trovare ancora stimoli, lui che invece, a 28 anni, ancora si sbatte e fatica a vincere il suo primo major. C’è da non capire la sua incredulità? Sottolinea solo un diverso approccio, quasi filosofico, mentale e sociologico, alla vita, allo sport e quindi al tennis. Se simili parole, genuine e sincere, sono considerate da molti offensive, capisci come ormai in questo mondo regni un’assoluta finzione castrata e castrante. Sul campo è un quarto che promette scintille. Guardo un po’ della replica, sacrificando la visione della ficion su Rai Uno (una specie di Romanzo non criminale – ma criminoso – su Rino Gaetano) e una puntata di Ballarò, il cui momento più alto è il servizio incentrato sulle chiappone della Santanchè che fa jogging. Pazienza, non c’è pathos, perché già sono traviato dall’esito della vicenda agonistica, ma davvero è un confronto a tratti impietoso. Federer incanta per quindici minuti, il tempo di dipingere ogni lato del campo, sguainare i suoi colpi magici da ogni verso e andare avanti di un break. Poi la luce si spegne. Il servizio non va, ed è come un musicista che sbagliando l’attacco, suona tutta l’opera in modo impacciato. Note a casaccio, come colpi avventati, soluzioni affrettate che si trasformano in caterve di errori gratuiti. Sempre in perenne, asfissiante, e normalmente suicida, ritardo-attaccante. Anche per lui. Il bisonte francese sale in cattedra. Mena, per una volta senza pietà, vince il primo set e dilaga. Coach Rasheed l’ha incanalato in binari tattici meno improvvisati. Più sostanza e meno guasconeria arrangiata, attacchi all’arma bianca estrosi, avvincenti, ma spesso senza costrutto. Finisce per chiuderla e si trova di fronte un’occasione forse irripetibile per afferrare la finale: semifinale contro Ferrer (che si disfa di Robredo, presentatosi sotto forma di urna cineraria). Contro un Federer così bloccato e sotto tono, in un momento di scarsa forma, voglia o in declino (sfidando l’atto di blasfemia) normale che Tsonga prevalesse. Al limite smarrisce la facilità con cui si disfa dello svuotato svizzero, che pure aveva tabellone da sogno per raggiungere una finale in cui affrontare lo stanco reduce dell’altra (presumibile) battaglia Nadal-Djokovic. Il tabellone migliore, nel momento sbagliato. E ritornano alla mente le parole di quell’intervista e lo stupore del francese. Quindici dopo quindici, jet-lag, alberghi, autografi, allenamenti, stucchevoli interviste, urla, petulanti fan, folate di terra, sponsor, cemento duro e bollente e sempre quella fottuta pallina da dover ricorrere e colpire. Dove mai questo ultramiliardario fenomeno che ha stravinto tutto, riuscirà a scovare altri stimoli? Forse ora davvero gli mancano nuove motivazioni o, semplicemente, inizia a calare fisicamente anche lui. E questo non può che destare sgomento e incredulità in chi, forse a ragione, trovandosi a contemplarlo mentre congegnava quei colpi metafisici, si è spinto a considerandolo immune dal logorio degli umani. E degli anni. Poi magari vincerà a Wimbledon, tanto per smentire ancora tutti. Ecco, quello sì, potrebbe essere uno stimolo vero per continuare. Fonte: http://tennispsiche.blogspot.it/

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