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Rollerball (1975)

Creato il 27 agosto 2010 da Elgraeco @HellGraeco
Rollerball (1975)

Il bello del tempo è che, oltre a essere una costante, almeno a certe condizioni, esso scorre, e con esso muta la percezione degli eventi. Nel 1975, e anche anni dopo, quando giunse dalle nostre parti, Rollerball si presentava sì per quello che è, un film su uno sport violento, ma anche per la sua carica di polemiche legate ad una visione particolarmente angosciante e negativa della società del futuro dove la libertà dell’individuo è garantita e distribuita in confezioni di cellophane, recanti il marchio di qualche corporazione; le persone giuridiche, le uniche realtà di controllo del mondo.
La percezione, come ho detto, cambia. Tant’è che sono stato a riflettere per un po’ se attribuire a questo film l’etichetta “distopìa”.
Di sicuro, considerate le premesse e le conclusioni a cui si arriva, trattasi di b-movie. Uno dei migliori.

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[contiene anticipazioni!]

La Pensione di Caan

Allora, c’è un atleta, Jonathan E. (James Caan). Egli è una star del rollerball, lo sport più famoso del 2018. Il rollerball è uno sport violento, una sorta di fusione tra il pattinaggio su pista indoor, il football americano e l’hockey, nel quale i partecipanti spesso restano feriti o uccisi. Tre anni è la durata della carriera media di chi pratica questa disciplina. Jonathan E., contro ogni previsione, è già all’ottavo anno da professionista.
Il campionato del mondo è agli sgoccioli, con sole tre partite da giocare, e la sua squadra, Houston, è la favorita.
La Energy Corporation, la società che possiede la squadra, ha in mente per Jonathan un pensionamento anticipato, un ritiro dorato al quale lui non può e non deve opporsi.
Com’è ovvio, non comprendendo i motivi per i quali gli si chiede di ritirarsi, l’atleta rifiuta, pretendendo di giocare le ultime due partite e, nel frattempo, tentando di far luce sui motivi per i quali la corporazione, che finora l’ha sempre stimato e protetto, abbia deciso tutt’a un tratto di far tramontare la sua stella.

Rollerball (1975)

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Individualità

Incredibile a dirsi, ma su quest’esile intreccio è stato costruito un film della durata di due ore. La Mega-Corporazione fantozziana vuole il ritiro dell’atleta. L’atleta non vuole.
La Corporazione le prova tutte per farlo ritirare:

1) gli cambia la escort di turno, per sollazzare le sue voglie
2) gli prepara un filmino d’addio che lo celebri a dovere da trasmettere in mondo-visione, per soddisfare il suo ego smisurato
3) ricorre a minacce velate, per farlo cagare sotto dalla paura
4) cambia le regole del rollerball a due partite dalla fine rendendolo più letale e cruento, se possibile, per farlo fuori durante il gioco

Ma… non c’è niente da fare. L’individualità di Jonathan E., novello gladiatore, è incoercibile. Ed è proprio il nascere di quest’individualità che la Corporazione vuole combattere. O almeno credo.

Rollerball (1975)

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Utopia -non troppo- Negativa

Come dicevo sopra, difficile attribuire a “Rollerball” l’aggettivo distopico. Voi la chiamereste distopia una realtà in cui non esistono più nazioni, differenze sociali, povertà, miserie, crimini, violenza, fame nel mondo?
Questa sarebbe una distopìa?
Le corporazioni, in un recente passato, hanno sostituito le nazioni. Ora queste società godono di ricchezza e potere assoluti e di rappresentanza fisica attraverso le squadre di Rollerball, l’ultimo sport/valvola di sfogo, l’ultima sede legale della violenza, caratteristica, quest’ultima, impossibile da eradicare dall’animo umano.
La violenza è la sola cosa che ci tiene ancorati alla nostra natura selvaggia. Meglio incanalarla in apposite arene che lasciarle libero sfogo.
L’affresco che ne deriva è un mondo idilliaco, pulito, efficiente, anche se apparentemente contraddittorio in virtù di tre vistosi buchi di sceneggiatura.
Com’è ovvio, il futuro così organizzato pare molto più negativo a chi, come noi, è portato a identificarsi con il protagonista: manipolato, gestito come una pedina, dal quale ci si aspetta solo assenso e inchini col sorriso sulla faccia.
Eppure, riesce davvero difficile considerare un male una società che è stata in grado, non si sa bene come, di annientare tutti quei problemi che oggigiorno si teme possano portare il nostro mondo, quello vero, alla rovina.
Per essere un’Utopia Negativa, è fin troppo bella, secondo me. E sono davvero esili le spalle sulle quali si regge.

Rollerball (1975)

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Cesura Classica

Anni ’70. Chissà perché il futuro, nelle mani dei potenti, era grattacieli di vetro, le nuove torri d’avorio, arredamento stylish, come quello cui accennavo nell’articolo prededente, e… musica classica.
Il regista, Norman Jewison, ammise di essere stato influenzato, e nello stile delle riprese e nel concept, da “Arancia Meccanica” di Kubrick. Ciò, conoscendo l’altro film, appare più che evidente e fa di “Rollerball” il b-movie meglio girato di tutti i tempi. Davvero bellissime le riprese, i costumi, indossati da eleganti e statuarie attrici, e le scenografie, nonché il massiccio utilizzo di musica classica, da Bach a Shostakovich a Previn e Tchaikovsky, che crea quella cesura necessaria per rendere credibile l’ambientazione da “what if?”, il “cosa sarebbe successo se?”.

Rollerball (1975)

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Voragini

Dicevo dei buchi di sceneggiatura; Sostanzialmente, appaiono essere solo tre, ma di un certo spicco:

1) non c’è povertà, ma Bartholomew, l’alto dirigente della corporazione, nel tentativo di convincere Jonathan a ritirarsi, lo induce a riflettere sul fatto che, ormai, dopo la sua straordinaria carriera, egli non ha più problemi di denaro

2) è una società che ha abolito la guerra e ogni forma di violenza, eppure, durante la festa/celebrazione di Jonathan E., alcuni degli invitati, molti dei quali alticci, si dilettano in giardino con una pistola dallo smisurato potere distruttivo, capace con un solo colpo di incendiare degli enormi alberi di pino

3) tutto lo scibile umano è affidato alle cosiddette “librerie”, delle biblioteche che forniscono estratti riveduti e corretti di qualunque opera data alle stampe. La disciplina più manomessa dalle corporazioni è la Storia. Al motto di “sapere è potere”, le corporazioni limitano e in alcuni casi ostacolano le ricerche storiche miranti a conoscere il passato dell’umanità, ma soprattutto il passato recente che coincide con le “guerre corporative”, il decisivo periodo storico che ha visto l’abolizione del concetto di nazione in luogo del sorgere della società corporativista. Ma le notizie nude e crude, senza interpolazioni di sorta, sono comunque alla portata di tutti. Esse sono custodite in Svizzera, immagazzinate in un super-computer chiamato “ZERO”. Questo avanzatissimo calcolatore elettronico soffre, però, di un deplorevole eccesso di personalità che lo porta a essere fin troppo umorale nelle reazioni ai tentativi di consultazione; così come umorali sono gli addetti alla sua manutenzione, sempre sull’orlo di una crisi di nervi

Rollerball (1975)

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Personality goes a long Way

E, sì, c’è anche lo sport. Tre sequenze che corrispondono alle tre ultime partite di campionato, a violenza crescente, durante le quali quella parvenza di gioco che è il rollerball diviene una rissa senza quartiere lungo tutto l’anello di gioco. Difficile considerare questa messinscena un inno alla non violenza, dal momento che proprio il protagonista, più volte pregato di lasciare il campo per la sua stessa sicurezza, non fa che scegliere ripetutamente il gioco quale unico modo che egli ha per affermare la propria personalità.
Fuori del campo di gioco Jonathan è un eroe del piccolo schermo, un uomo di paglia. Dentro l’arena, col viso e le mani sporche di sangue, egli è indipendente e fuori del controllo dei poteri forti.
Il messaggio che pare derivare da questo film è fin troppo ambiguo e forse figlio di letture e interpretazioni non previste neppure dal suo autore.  Ma in sostanza sembra dire che la libertà personale si ottiene solo attraverso l’affermazione violenta e la selezione naturale. Il guerriero più forte e indomito vince, il popolo lo adora, le grandi dame vogliono tutte andare a letto con lui e il potere, quello dei vecchiacci imbalsamati, lo teme.  Sempre la stessa storia. Il futuro, in fin dei conti, non pare essere tanto lontano dal nostro presente.

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