Anna Lombroso per il Simplicissimus
Appalti e gare pilotate, ricatti e corruzione, intimidazioni e usura, percosse e minacce. E poi er Cecato, Spezzapollici, er Nero, o Pazzo, soprannomi d’onore d’obbligo negli ambienti malavitosi alla pari con i più celebri Scassaporte, Gino il mitra, Puparuolo. La combinazione di rituali di affiliazione, in nome di antichi percorsi ideologici, con dinamico spirito d’iniziativa e moderna professionalità imprenditoriale. E che dire della profittevole convivenza di assassini, teppisti con criminali politici e politici dediti al crimine,di delinquenti comuni e dirigenti pubblici, di controllati con controllori sleali?
Basterebbe questo a definire il marcio romano come mafia. Non occorrerebbe attendere che la magistratura si esprima qualificando dal punto di vista del diritto penale se la serie di reati contro la collettività attribuiti ad una cerchia di “imprenditori”, di affaristi, di manager, costituitisi anche nella forma virtuosa delle cooperative, e a funzionari e politici locali collusi, abbia le caratteristiche dello “stampo mafioso”.
Basterebbe questo per definire “sistema mafioso” quella rete opaca, abile nel nutrire l’humus associativo e la coesione degli “affiliati” tramite l’intimidazione, la riduzione in soggezione, la corruzione, la benevolenza o le botte per acquisire con i metodi della tradizionale criminalità organizzata, in modo diretto o indiretto, la gestione di attività economiche, di concessioni, di appalti e servizi pubblici per realizzare infami profitti, dando preferenza allo sfruttamento e alla speculazione di segmenti di popolazione più esposta, debole, permeabile.
Basterebbe questo, ma non basta, se si vuole, come sembra, che il processo per Mafia Capitale si trasformi in un giudizio sulla Roma ladrona, cialtrona e miserabile, senza gli “anticorpi” ma anche senza la truce, epica grandezza di un luogo dove si consumano delitti all’ombra di due cupole ingombranti, oscure e condizionanti, Vaticano e Mafia. Che si riduca alla punizione per via giudiziaria di un circoscritto manipolo di fascisti di fatto e nei modi, di semplici cravattari, di una bassa forza di rubagalline di casa a Regina Coeli, affermatasi grazie alla somiglianza e contiguità con una cittadinanza indifferente, indolente, caciarona, abituata nei secoli a stare nella cuccia calda delle modeste, ma indispensabili regalie di qualche papa re,a beneficare delle piccole, ma sicure rendite di un tessuto impiegatizio parassitario.
Una cittadinanza che sa, vede dai Casamonica ai Buzzi, ai Carminati, ma è solita chiudere un occhio, come i suoi rappresentanti e sindaci, compresi certi baluardi della legalità rei confessi di “essere con le spalle al muro”, di aver girato la testa, di essersi tappate le orecchie,come rivela la Commissione mandata a verificare lo stato di penetrazione di Mafia Capitale nel Comune, avvantaggiati dalla coltre pudica stesa da Alfano e Renzi, grazie a un sigillo della lunghezza di un tweet posto a chiudere per sempre quelle quasi mille pagine della relazione dei prefetti: “non esistono i presupposti per lo scioglimento del municipio della Capitale per mafia” . E ne approfitta e continua ad approfittarne,se come dicono i Ros, l’attività è proseguita incessante fino a poco più di un mese fa, quindi anche dopo che il bubbone è scoppiati, con la fretta ansimante di portarsi a casa qualcosa, qualche briciola di quella ricchezza che la manina di una provvidenza canaglia oltre che iniqua lascia cadere perfino sui meschini, sotto forma di lavoretti, posticini, stipendiucci esigui ma regolari, che non dispiacevano nemmeno a rappresentanti del popolo, alti funzionari,autorevoli consulenti, che proprio come la manovalanza del racket imploravano un “reddito fisso”, da intascare ogni 27 del mese, proprio come fossero impiegati del catasto.
Basterebbe questo, si, proprio questo a dire che si tratta di mafia, del sistema di gestione delle emergenze: periferie, case occupate, immigrazione, profughi, attraverso un potere criminale sostitutivo dello Stato, che si conquista la collaborazione di funzionari frustrati e infedeli, di rappresentanti che non vogliono e non possono rinunciare alla poltroncina, di imprenditori creditori delusi, e il consenso di gente amareggiata e risentita per la perdita di certezze, beni, e che cerca una tutela, qualche favore, una raccomandazione, un permesso, non importa come e a che prezzo, che pare loro meno iniquo della tasse di Equitalia, delle bollette dell’Acea, dell’abbonamento dell’Atac. La corruzione, il clientelismo, il familismo, l’inefficienza svelati dall’inchiesta – che non sono fenomeni recenti, che non sono fenomeni sotterranei – sono stati affiancati, rafforzati, radicati grazie al metodo mafioso e si sono consolidati proprio come le cupole, le cosche le famiglie. E non sono nemmeno fenomeni “locali”, proprio come le cosche, le cupole, le famiglie, che hanno attecchito, hanno trovato terreni favorevoli, si sono insinuate in tutte le fibre della società.
Altro che Mafia Capitale: ci vorrebbe un Pignatone per ogni posto dove si è consumato l’osceno intreccio tra malaffare e affari, tra interessi dei controllori e dei controllati,tra imprese e politica, tra burocrazie e speculatori. E’ ora di cominciare a chiamare con il suo nome il caso Mose, quella Serenissima Connection ancora in piena vigenza anche se non c’è quasi più l’acqua alta, il caso Tav, anche se ormai non la vuole più nemmeno Esposito,che nessuno ha voglia e soldi per andare a Lione, il Ponte di Messina, che paghiamo ogni giorno perché non si faccia col rischio che uno sciagurato megalomane lo voglia fare anche contro i desideri delle cordate che guadagnano di più da sanzioni e multe, l’Expo,un fallimento che peserà ancora sulle spalle dei figli dei volontari prestatori d’opera.
Ma è che ci vorrebbe un Pignatone anche a scoperchiare le fogne delle riforme, pensate per promuovere la fine del lavoro in modo da favorire la sua conversione in servitù, la fine dell’istruzione per garantire un esercito ignorante e assoggettato da spostare secondo i comandi di azionariati e multinazionali, la fine dei beni comuni per premiare profitti privati, la fine dei diritti per spodestare sovranità, esautorare le rappresentanze, corrompere i cittadini per svendere la democrazia.