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Roma e l'incubo di quella terribile miscela di ossigeno e idrogeno che si chiama... acqua. Un racconto
Creato il 29 agosto 2013 da RomafaschifoLe previsioni parlavano chiaro. L'allerta era stata diramata da giorni.
L'evento da tutti paventato sarebbe avvenuto, non vi era più alcun dubbio in proposito.
Tutto era pronto. La Città Eterna stavolta avrebbe risposto da par suo. Era preparata.
Preparata all'ennesima catastrofe, naturalmente.
Ore 14.30
Alcune zone della Città stavano già iniziando a vivere il dramma. L'evento epocale stava cominciando a materializzarsi: terribili molecole di H2O, aggregate indissolubilmente tra loro da inscindibili legami covalenti a formare enormi ed inquietanti gocce di acqua stavano cadendo inarrestabili oramai da minuti dal cielo plumbeo e minaccioso.
Il mondo intero, da Pomezia a Valmontone, aveva gli occhi puntati su questa tempesta perfetta, in grado di annientare anche il più organizzato ed efficiente villaggio del Bangladesh.
Il popolo pendolare ormai già fremeva, conscio del proprio ineluttabile e drammatico destino.
La pioggia scendeva ormai da un'eternità, ben più di 30 minuti, provocando con la sua immane forza distruttrice, danni alle moderne e innovative strutture di trasporto della Città.
Inevitabilmente queste ultime, nonostante l'elevato e ben noto livello di manutenzione e affidabilità, iniziavano a cadere ad una ad una, come cipressi spazzati via da un'onda d'urto nucleare.
I primi dispacci dalla centrale di controllo trasporti comunale già evidenziavano gli effetti del cataclisma: metro bloccate, strade allagate, bus in panne, treni fermi.
Ore 17.00
Non piove più. La terribile miscela di ossigeno e idrogeno, il composto chimico assassino che cade dal cielo e che sarebbe in grado di ridurre allo sfacelo persino la rete trasporti del più moderno aggregato urbano della Papua Nuova Guinea ha cessato di martoriare con i suoi fendenti la Città.
Ma quasi due ore di questo flagello inimmaginabile e apocalittico non possono non aver inferto profonde ferite alle sue seppur consolidate e efficientissime infrastrutture romane (o romaniche?).
Decido di affrontare il mio destino.
Esco dal mio ufficio e mi reco fiducioso verso la prima fermata della metro A, per provare a raggiungere Termini. Cancelli chiusi. Metro fuori servizio.
Sono però state approntate prontamente le immancabili navette sostitutive.
Peccato che sostituire con delle "navette" il trasporto della metro A in un'ora di punta equivale a voler imbarcare i passeggeri del Titanic su un peschereccio.
Mi dirigo quindi a piedi verso la stazione Termini.
Ore 17.30
Giungo in vista di Termini. Sul piazzale sono assiepate migliaia di persone, pendolari, turisti, in attesa delle navette.
Sembra una scena di "The Day After". Manca solo il fungo atomico all'orizzonte e poi il quadretto sarebbe completo. In compenso assisto allo spettacolo delle facce dei turisti, che vagano di qui e di là come palline di un flipper in cerca della direzione e della navetta giusta, esterrefatte, preoccupate per l'accaduto, dubbiose se si sia trattato di un attentato di Al Quaeda o di una guerra lampo scatenata dagli USA contro l'Italia, ora che non c'è più l'amico Silvio a proteggerla e in crisi di astinenza da conflitto, a provocare un tale disastro.
Ovviamente la maggior parte di loro si ritroverà infine in zone sconosciute della Città, dato che nel marasma totale le informazioni latitano più dei capelli in testa a Pippo Baudo: intere famiglie di coreani trasbordati a Pietralata invece che a Via Veneto, frotte di tedeschi in cerca del loro albergo a cinque stelle superlusso a Prima Porta, gruppi di giapponesi che fotograferanno il colosseo quadrato all'EUR, chiedendosi perché in foto è sempre sembrato tondo…
Io proseguo per il mio percorso, verso i binari della zona imbarco bestiame pendolari laziali (binari 25-29).
Ore 18.00
Sono in attesa del primo treno. Dovrebbe partire alle 18.12.
Una sequela di annunci dagli altoparlanti, però, mi fa capire che non sarà così facile raggiungere casa.
Sono tutti annunci che iniziano con "Si avvisa" e terminano con "Ci scusiamo per il disagio". Il tempo in mezzo alle due frasi, di norma, procura in noi pendolari una sorta di angoscia, creata dall'attesa di conoscere se il disagio ci riguarderà e quale sarà la sua entità.
Per ora nessuno degli annunci riguarda il mio treno e dunque salgo e mi siedo speranzoso.
Ore 18.15
Il treno è fermo. E' innegabilmente fermo.
Primo annuncio…"Si avvisa"…"Ci scusiamo per il disagio". In mezzo ci appioppano i primi 15 minuti di ritardo.
Dopo cinque minuti il secondo annuncio. "Si avvisa"…."Ci scusiamo per il disagio". In mezzo 40 minuti di ritardo.
Il regionale delle 18.34 è sul binario a fianco: parte all'unisono il trasbordo del bestiame sul nuovo treno della speranza.
Ci catapultiamo tutti insieme come granelli di sabbia in un imbuto.
Ci avviciniamo ala porta più vicina del treno in "possibile" partenza. Vediamo lì fermo in prossimità della porta un tizio in camicia azzurra a maniche corte con una scritta rossa sul taschino sblusata fuori dai pantaloni.
Ha un borsello al collo.
Camicia azzurra + Borsello: deve essere un controllore o comunque un addetto Trenitalia.
Lo accerchiamo minacciosi: deve rivelarci quale dei due treni partirà per primo. Lo esigiamo e glielo facciamo capire.
Si schemisce.
Somiglia in maniera impressionante a Kurt Russel, ma con venti anni di più e dopo una sbronza colossale. Boh, forse a Trenitalia li prenderanno così per incutere più timore, penso.
"Non so niente! Sono un autista ATAC che cerca di tornare a casa, come voi!", si difende.
Ovviamente in prima battuta non gli crediamo: oramai gli addetti Trenitalia quando si vedono in minoranza e accerchiati preferiscono mentire e gettare la divisa, come soldati disertori, piuttosto che affrontare lo scontro.
"Dai, dicci se parte prima questo!".
"No, davvero sono un'autista ATAC!". Si gira e ci indica con la mano la macchia rossa sulla camicia.
In effetti c'è scritto ATAC…
Non che la cosa dovrebbe preservarlo dalla furia di qualche pendolare incazzato e con i nervi a fior di pelle. In fondo c'è scritto ATAC, dico ATAC, mica Caritas...
Ancora sospettosi, lo lasciamo perdere e lo scartiamo e ignoriamo squallidamente, come un gratta e vinci appena risultato perdente e quindi inutile.
Ore 18.35
Il carro, miracolosamente, parte.
Un "Ohhh" di sollievo, ma anche e a più ancora di stupore si alza tra la mandria a bordo.
E' un miracolo. Non può essere.
E infatti non è.
Dopo due minuti un annuncio: ci avvisano che, causa disagi dovuti al maltempo ci saranno probabilmente dei problemi durante la corsa. E' una novità: l'avviso preventivo del capotreno. Il senso è più o meno questo: "E bravi, ma veramente voi credete che dopo un cataclisma meteorologico del genere un carro pendolare Trenitalia possa partire quasi in orario e proseguire senza il minimo intoppo fino a destinazione? Guardate, non so come e perché siamo riusciti a partire, ma non ci credo neanche io che sono il capotreno quindi vi avviso: non fatevi illusioni!".
Detto fatto, dopo cinque minuti siamo fermi a tempo indeterminato alla stazione Ostiense.
Ore 18.50
Ripartiamo.
Arrivo a destinazione verso le 19.40.
Ci ho messo quasi il doppio rispetto al normale.
Più che normale, che ormai non esiste più, rispetto all'orario previsto.
Ma stavolta ci stava. Stavolta era una situazione eccezionale. Stavolta addirittura c'era dell'acqua, ripeto ACQUA, che cadeva dal cielo. E' stato come nei film di fantascienza, come in WaterWorld, una WaterWorld de Noantri. Mario Menditto https://www.facebook.com/CronacheTragicomicheDiUnPendolare
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