Non è facile mettersi d’accordo sulla scena più commovente ed emotiva del film Spartacus (Stanley Kubrick, 1960), e davanti ad uno studio cinematografico in scultura grecolatina e un film di desiderio, amore e morte, di guerra e di Antichi Romani, si tratta senz’altro di uno dei film più di successo del proprio genere (anche se Spartacus sembra essere stato creato proprio per mettere ancora una volta in discussione il concetto di genere, come succede per tutte le grandi opere).
E’ anche possibile che la scena più commovente ed emotiva sia proprio quella dei titoli di cosa, dove il produttore Kirk Douglas si giocò la sua carriera, con il suo splendido atteggiamento di sfida, decidendo di inserire a lettere cubitali il nome di Dalton Trumbo, riconoscendolo di fatto come il legittimo autore di quello splendido lavoro. Dalton Trumbo stesso fu tragicamente perseguito – la sua integrità gli costò undici mesi di prigione e il successivo esilio in Messico da dove ancora scriveva copioni, come uno scrittore fantasma o sotto uno pseudonimo – durante la caccia alle streghe macarthista che devastò Hollywood e la cultura americana pochi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Tornando a parlare delle scene memorabili, ce ne sono alcune da ricordare: la meravigliosa sequenza in cui Varinia (Jean Simmons) fa vedere a Spartaco (Kirk Douglas), con una frase memorabile di solo tre parole, che la donna è la vera schiava del mondo, poichè sotto ogni sfruttamento ne giace uno ulteriore legato al genere sessuale; il modo in cui si sfiorano le loro mani quando lei gli dà da mangiare (momento accompagnato da uno stacco musicale di un profondissimo e strabiliante potere evocativo); il momento in cui i sopravvissuti si auto-condannano a morire sulla croce per non rivelare chi sia Spartaco, al grido unisono di “Io sono Spartaco!”; il tragico istante che intreccia ammirabilmente amore e morte, nel quale Spartaco si vede costretto ad uccidere Antonino (Tony Curtis) per evitargli una sofferenza più grande (“Sei come un padre per me, Spartaco”/”E tu, per me, sei come il figlio che non ho mai visto”); gli ultimi e indimenticabili minuti nei quali il personaggio di Varinia, libera grazie ad un’abile azione finale di Gracco (Charles Laughton), esce dalle porte di Roma insieme al figlio, diretta verso Aquitania, e Spartaco, vedendoli, pensa anche se non potrà essergli vicino, la madre gli insegnerà ad essere libero come egli avrebbe desiderato.
La mia favorita è senza dubbio quella in cui, dopo aver ascoltato Antonino recitare una meravigliosa e commovente canzone, mentre torna a casa, Spartaco viene invaso da una tristezza, figlia della sua poca conoscenza del mondo, della sua consapevolezza di saper unicamente combattere, come qualunque animale, di non possedere alcuna conoscenza, ad esempio il non sapere la provenienza del vento. E’ allora che Varinia gli racconta che il vento viene da una grotta dove abita un giovane dio, che di notte, mentre sogna, sospira per la sua amata.
Paul Oilzum
In fondo, nessuno sa precisamente mai niente di nulla, ma questo poco importa, finchè abbiamo belle storie da raccontare. Il film Spartacus è una di queste, e vedendolo troverete difficile contenere il desiderio di affittare appartamenti a Roma
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