Silvia Medeossi 26 luglio 2013
Metti una sera in una storica cittadina del Nord-Est: Cividale. In programma una serie di eventi che fanno cultura e colore oltre che folclore: il MittelFest. Partecipa ad un concerto che ha come protagonista il virtuosismo da pelle d’oca di eclettici musicisti ungheresi: il Gran Gala Gitano. Imperdibile! Tento di rendervi la fotografia e le emozioni di un ascolto che mi ha davvero estasiato per le sue funamboliche esibizioni. Sul palco la Roma Hungaricum State Ensemble, vero fiore all’occhiello del patrimonio nazionale ungherese, promotore della gypsy music, termine a mio avviso molto pop e poco esaustivo nel descrivere le peculiarità di uno stile cangiante e sempre freschissimo, pur avendo origini antichissime: quattordici archi, due clarinetti e due cimbalom, pianoforti a coda privi di tasti vista l’abilità del musicista nel martellare direttamente le corde con dei battenti rendendo oltre che un suono simile alla chitarra, anche l’idea di spettacolarità oltre che di spettacolo. Questo il succo di una dicotomia tra la tradizione di strumenti secolari e la velocità con cui gli interpreti hanno saputo veleggiare fra le note regalando un’allegria contagiosa. Una spontaneità di esecuzione che nemmeno l’occhio più attento agli spartiti, qui inesistenti, saprebbe suggerire e che sottolinea il talento di artisti unici, accuratamente selezionati e formati all’interno della Talentum International Dance and Music School e della Béla Bartók Secondary School of Music.
Gli archi si alternano sul palco nel ruolo di primo violino, che funge soprattutto da direttore d’orchestra, ruolo principe dei vertiginosi assolo, conditi da una tenace improvvisazione, a regalare ulteriore freschezza confermando la bravura di strumentisti che si affidano unicamente alla loro memoria. Le magistrali interpretazioni spaziano da Lightning Czardas a Gipsy Fantasy e Dances of Galánta, da Coronation Verbunk all’Hungarian Rhapsody No. 2, per poi culminare in Waves on Lake Balaton, Gipsy Airs e Remembering of Bihari, facendomi rimpiangere il mancato studio della viola durante l’infanzia. Dopo un’ora di travolgente ascolto, nemmeno il vento freddo tipicamente cividalese, nonostante le temperature diurne quasi agostane, riesce a raffreddare l’atmosfera grazie a Double Dance of Kallai, Circus Polka, Romanian Folk Dances e Fly My Swallow.
Nemmeno le melodie più lente riescono ad avvalorare la teoria della curva dell’attenzione, sempre trascinanti e mai melanconiche a dimostrazione che le potenzialità ed al tempo stesso i limiti di strumenti quali appunto gli archi possano trovare nuovo vigore grazie a sgargianti interpreti che non lasciano spazio ad eccessive vene nostalgiche. Una fotografia che si completa esaustivamente solo nel colorare con toni tipicamente folcloristici l’esecuzione affidata al cimbalom, tanto spettacolare da risultare quasi circense: un modo unico per esaltare la memoria storica e le tradizioni di un popolo, quello ungherese per l’appunto, con l’attualità di spettacoli sempreverdi nel regalare quelle emozioni che soltanto la musica riesce a dare.