Se a Roma prevarrà il totonomi e non la costruzione collettiva di una visione, dove la parola collettiva comprende anche la parola squadra, ricominceremo tutto da capo. A Roma c'è un problema profondo, La città ha perso l'anima e non esiste il confine tra classe politica e società civile. Sono entrambe Roma, e non due facce, la stessa faccia nel bene e nel male. Quando, prima di Marino e quando qualcuno con arroganza candidò Rutelli, contestavo il modello Roma fatto di salotti di poteri, di gestione relazionale e cattedrali culturali, segnalavo lo svuotamento dei capillari a favore di poche aorte. In quei capillari lasciati senza sangue (nella maggior parte periferie ma non solo) si è annidata la disperazione e quindi la destra e l'intolleranza dove per intolleranza non intendo il semplice razzismo, intendo proprio l'intolleranza assoluta. Ora riportare il sangue in quei luoghi sarà un'impresa immane, non ci vuole solo un sindaco. Ci vuole un giornalismo sano, una classe politica matura e onesta che ha a cuore la città e non i fatti propri. Ci vuole visione ma capacità di mantenerla. Dico sempre alle persone che lavorano con me che il momento più difficile per mantenere la calma e la barra dritta è proprio quando sembra che i ranghi vadano sciolti perché le cose vanno male. Invece è in quei momenti che va mantenuta la calma e non bisogna cedere. A Roma negli anni è mancato questo, ogni cambiamento sembrava impossibile e a questa amministrazione che a mio avviso ci stava provando è mancato il sostegno della città tutta, politica e civile, che non voleva cambiare. Chi ha mangiato sui rifiuti per esempio era l'alleato perfetto di chi non aveva voglia di fare la differenziata. Chi nom voleva cambiare modo di lavorare nelle municipalizzate è il miglior alleato di privatizzazioni. E potremmo fare mille esempi. Il prossimo sindaco deve determinare discontinuità in questa alleanza incosciente e scardinarla, isolare chi vuole male a Roma, incentivare di nuovo il senso di essere comunità.