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Roma, La Vie mode d'emploi

Da Vulvia
Roma, La Vie mode d'emploi
Scrivere e riscriversi addosso come amor ch'a nullo amato amar perdona     Nel quartiere la conoscono tutti, anche chi al suo passaggio alza gli occhi al cielo come in attesa di un suggerimento, in larga parte donne dei piani nobili della borgata, che ciascuno la nobiltà la misura come può.
Gli uomini invece conoscono il numero esatto dei gradini che conducono di fronte al suo portone di casa, i vicini più affezionati scandiscono le ore guardando le sue finestre illuminate, sapendo che quando comincia a piovere quelle stesse finestre si spalancano con lei succinta che inscena premura per la biancheria.
I bambini si divertono ad indirizzarle epiteti poco eleganti accompagnandoli da gesti inequivocabili.
Dora è una donna non più giovane e le tracce sbiadite della sua bellezza rendono ruvidi i suoi sguardi.
Esce e rientra sempre sola, nessuno conosce il suono della sua voce. Sdegnata, la platea indiscreta, cominciò un giorno a dire in giro che era pazza.
L’unico disinteressato alle quotidiane meschinità è proprio il portiere dello stabile scalcinato: Ovidio.
Uomo schivo e dai gesti essenziali, chi lo conosce da anni sarebbe pronto a giurare che il motivo della misantropia sono gli acufeni molesti riportati come souvenir dalla guerra, forse dovuti all’esplosione di un magazzino di armi e munizioni a cui faceva la guardia. Dopo il botto non riusciva più a sentir bene ciò che gli veniva detto e a capir meno, ma in certi casi pare una grazia.
Ora si finge a guardia di un palazzo di occhi famelici.
Se un ignaro passante incappasse nel suo muso e incautamente lo interrogasse sulla toponomastica del quartiere, rischierebbe una bastonata, abituato com’è ormai solo al ronzìo e al crepitare dei suoi pensieri, anche quelli, nella malagrazia, hanno un loro ritmo che non va disturbato.
Le uniche donne a cui concede uno sguardo di saluto sono tre sorelle zitelle del primo piano, che s'offrono instancabili a rammendar calzini e a sferruzzare ad impronta.
Salendo le scale riconosco l’odore inconfondibile del loro ragù di carne, oserei dire che aggiungano delle spezie aromatiche e un po’ di vino rosso, esitante sul pianerottolo, mi abbandono all'idea di riuscire a farmi invitare a pranzo qualche volta.
Com’è piccola Roma, in fondo.

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