ROMA. Nelle malattie croniche, il 70% delle famiglie non accede a programmi di supporto. Occorrono modelli di integrazione verticale con il paziente e nasce l’Health Care Manager.
Creato il 17 giugno 2015 da Agipapress
ROMA. Sono oltre 14 milioni i malati cronici in Italia, circa il 24% degli
assistiti dal Sistema Sanitario Nazionale e, secondo i dati Istat 2014, solo 3
pazienti su 10 possono usufruire di programmi di supporto integrato.
Anche in
termini di accesso alle terapie farmacologiche si registrano forti criticità,
come dimostra il XIII° Rapporto sulle Cronicità di Cittadinanza Attiva che
evidenzia come circa il 30% delle famiglie ha difficoltà di accesso ai farmaci.
“E’ necessario un cambiamento di paradigma che, per fortuna, anche se
lentamente, si sta realizzando nel nostro Paese, ha sottolineato il presidente
di Federsanità Anci Angelo Lino Del Favero. Occorre integrare
prestazioni socio-sanitarie e sociali con le classiche prestazioni sanitarie,
avere valutazioni che si basino anche sul grado di percezione del servizio da parte
del “paziente – cliente” con un modello che possa trasferire all’esterno una
serie di prestazioni, come per esempio sta avvenendo con le recenti riforme
sanitarie in Toscana o in Lombardia che riflettono questo passaggio”.
E oggi a Roma, in occasione del convegno “Il
paziente al Centro: Soluzioni innovative di Integrated Health Care per il
miglioramento della qualità delle cure e la continuità assistenziale dei Centri
Clinici” promosso da Domedica, presso la LUISS, ci si è focalizzati su
quattro malattie croniche: artrite reumatoide, sclerosi multipla, fibrosi
cistica e ipertensione polmonare che colpiscono in Italia, con numeri molto
diversi tra loro, circa 500.000 persone ma che sono accomunate dalla
necessità di cure che, se erogate attraverso programmi di home care migliorano
la qualità di vita, l’adesione alla terapia e riducono i costi per il Servizio
Sanitario Nazionale.
Il gruppo di patologie scelto evidenzia peraltro il bisogno che anche il
nostro Paese si attrezzi per uscire da un modello ospedale centrico che rischia
di collassare e si creino, a livello regionale e locale percorsi virtuosi
ospedale-casa-ospedale. Di fronte a questi dati e alla necessità di far
quadrare i conti della spesa sanitaria, i programmi di supporto al paziente con
patologie croniche, sul territorio, sono una leva sempre più preziosa da
utilizzare da parte degli Assessorati Regionali alla Salute, dei Centri
Clinici, delle ASL e degli stessi clinici. “I nostri Programmi di Supporto ai
pazienti – spiega Maurizio Pércopo amministratore delegato di Domedica – vanno oltre il sostegno alla
somministrazione del farmaco, perché si integrano con il Centro Clinico, pur
restando il medico il riferimento principale del paziente. Consistono nello
studiare, nel progettare e nell’attuare la cura e la gestione a 360° di una
patologia grazie a figure nuove come l’Health Care Manager e con un focus
sempre presente: la partecipazione del paziente alle scelte terapeutiche. Le
nostre equipe multidisciplinari composte da medici, fisioterapisti, infermieri
e psicologi supportano, con un approccio olistico, i pazienti cercando di
“educarli” affinché siano sempre più consapevoli sulle proprie necessità di
cura e offrendo un reale supporto al clinico”.
E la conferma del bisogno di
progetti di questo tipo arriva sempre dall’indagine Domedica – Eurisko, una
ricerca innovativa in quanto integra le voci di malati, medici e aziende
farmaceutiche, per un totale di oltre 2.000 soggetti intervistati e dalla quale
emerge in particolare che oltre il 50% dei pazienti si dichiara pronto ad
entrare attivamente in un programma di supporto.
Di poco inferiore, circa il 40%, la percentuale di medici, in particolare
specialisti, propensi ad attivare servizi di comunicazione e gestione della
terapia a distanza con sfumature diverse a seconda della patologia. Le aziende
farmaceutiche, dal canto loro, mostrano una sempre maggiore sensibilità e
apertura a sostenere iniziative per migliorare l’accesso alle cure e
l’appropriatezza terapeutica.
Unanime il consenso dei clinici intervenuti nel riaffermare la necessità di
un salto di qualità nei programmi di home care. A fronte infatti di livelli di
eccellenza spesso raggiunti nella cura ospedaliera, non vi è un adeguato,
diffuso e strutturato servizio al domicilio che mobiliti tutte le competenze
necessarie al paziente, assicurando uniformità negli standard di qualità.
(mpa)
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