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Roma, Teatro Antigone: va in scena “Mare di pietra”

Creato il 22 gennaio 2013 da Af68 @AntonioFalcone1
Roma, Teatro Antigone

Roma, Teatro Antigone

Andrà in scena al Teatro Antigone di Roma, dal 25 al 26 gennaio alle ore 21.00 e domenica 27 alle ore 18.00, Mare di pietra, un’opera originale, influenzata dai lavori degli scrittori Corrado Alvaro, Pier Vittorio Tondelli ed Edgar Lee Masters, per la prima volta sul palcoscenico, scritta dal regista Matteo Scarfò (Locri, RC, 1986) e diretta da Tiziana Prono.
Musiche:Massimiliano e Alessandro Damerini. Scenografia:Giada Tosto. Costumi:Teresa Bruni. Luci:Alessio Baldi. Interpreti:Alessandro Damerini, Francesca La Scala, Andrea Lupia, Lavinia Mochi, Valerio Preziosi, Vincenzo Tallura. Voci fuori campo:Alessandra Mortelliti e Paolo Turrà.

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Due giovani fratelli, pescatori, si trovano imprigionati in una vita che non hanno scelto, accomunati dallo stesso destino, ma profondamente diversi nell’espressione delle loro personalità: il maggiore, infatti, è legato alle tradizioni e al ruolo che per lui è stato vagliato nel mondo, mentre il più giovane non accetta queste condizioni e decide di ribellarsi. Si sfidano così su una barca cullata da un mare silenzioso ma vivo, una divinità pronta a dare la vita come la morte, un dio che richiede sacrifici e rispetto, ma che può cambiare profondamente l’esistenza di chi lo merita, perché sul suo fondo si agitano storie di uomini e donne che non ci sono più, volte ad oltrepassare le barriere dello spazio e del tempo, divenendo immortali nei sogni dei vivi che hanno il privilegio, o la sfortuna, di vederle.

Il mare magico permette il sorgere di sogni inquieti, di incubi catturati dall’acqua, le storie di persone che hanno fatto la loro scelta, ad alcuni è stata imposta, altri se la sono cercata, ma nessuno ha una vera colpa, di comune c’è solo il dolore privato, in seguito a uno sbaglio che non è stato perdonato: due giovani amanti hanno scelto di fuggire dalle esistenze decise per loro dalla volontà di qualcun altro, vagando alla ricerca di una personale verità, così da compiere, almeno una volta, un gesto puro e spontaneo, scaturito dal loro cuore.

Matteo Scarfò

Matteo Scarfò

Come nell’inferno dantesco le anime ragionano sul peccato ponendosi domande protese all’infinito, così fanno Angela e Pietro, due condannati che non si sfiorano ma condividono un distacco volontario dalle proprie radici: se la prima si lascia trasportare dalla sua follia consapevole e senza limiti, dannosa per chi le sta accanto proprio perché lucida, il secondo sa di essersi accorto troppo tardi della propria fragilità, le sue sole forze non bastavano per affrontare il mondo che gli si profilava davanti, quindi, nel momento in cui ha deciso di tornare indietro, ha trovato le porte chiuse.

Se le domande però risultano chiare, le risposte non sono mai sicure, nessuno può fornire la Verità, né tantomeno questa è scritta da qualche parte, come i due fratelli alla fine capiranno, perché non tutto è come appare, e, soprattutto, non tutto è già scritto: pur se la vita si basa sul rapporto ineluttabile di causa e di effetto, a volte, in casi straordinari, ci è data la possibilità di cambiare, anche quando sembra troppo tardi.


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