ROMA. Terreni,
cascine, aziende agricole, immobili vari. Queste le infiltrazioni mafiose in
Lombardia nel settore agricolo. E’ un altro dato che emerge dall’ultimo Rapporto sui crimini
agroalimentari in Italia elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla
criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare; dei 1.266 immobili sottratti alla criminalità organizzata in Lombardia (sui
17.577 totali in Italia), oltre 250 riguardano beni agricoli con un peso di
quasi l’1,6% a livello nazionale. Se si guarda il numero di immobili sottratti
alla mafia, la Lombardia è sesta a livello italiano dopo Sicilia, Campania,
Calabria, Puglia e Lazio. Mentre per le 286 aziende sequestrate dall’autorità
giudiziaria in Lombardia (su 3.187 in Italia) quelle che fanno riferimento al
settore agricolo sono una cinquantina. In totale sono circa 300 – stima la
Coldiretti Lombardia - i beni e le attività agricole sottratti alla criminalità
mafiosa, per un valore di oltre 24 milioni di euro.
“Il dato che fa
ben sperare – spiega Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti Lombardia – è
che tutte le nostre province sono sotto la media nazionale per quanto riguarda
l’Indice di Organizzazione criminale dell’Eurispes, pari al 29,1% a livello
italiano, mentre Milano per esempio è al 17,9%, Brescia al 14,9%, Pavia all’11%
o Lodi all’8,6”. Per quanto riguarda le altre province: Sondrio è al 13,8%,
Varese al 12,9%, Cremona al 10,3%, Mantova al 9,4, Bergamo al 5,9%, Monza allo
0,1% e Lecco zero.
“E’ chiaro –
spiega Prandini (in foto) - che non si può abbassare la guardia perché è con le indagini
e il controllo delle forze di polizia che emergono le situazioni malavitose
contro le quali si deve intervenire: bisogna rafforzare i controlli per evitare
che questi fenomeni si espandano anche nel settore agricolo andando a inquinare
l’economia onesta e la libera concorrenza”. Sono infatti oltre centomila
i controlli effettuati dalle forze dell’ordine nel 2015 per combattere le
agromafie dal campo allo scaffale e garantire all’Italia il primato nella
qualità e nella sicurezza alimentare
Mentre tra 20 ed
i 25 miliardi di euro – spiega Coldiretti - vengono sprecati per il mancato
utilizzo dei beni confiscati sulla base delle stime dall’Istituto nazionale
degli amministratori giudiziari (Inag). Si stima che circa un immobile su
cinque confiscato alla criminalità organizzata sia nell’agroalimentare. Il
53,5% si concentra in Sicilia, mentre la restante parte riguarda soprattutto le
altre regioni a forte connotazione mafiosa, quali la Calabria (17,6%), la
Puglia (9,5%) e la Campania (8%). Seguono con percentuali più contenute la
Sardegna (2,3%), la Lombardia (1,6%), la Basilicata (1,5%) e il Piemonte
(1,3%).
Associazione per
delinquere di stampo mafioso e camorristico, concorso in associazione mafiosa,
truffa, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, riciclaggio, impiego di
denaro, beni o utilità di provenienza illecita, contraffazione di marchi,
illecita concorrenza con minaccia o violenza e trasferimento fraudolento di
valori sono invece le tipologie di illeciti riscontrate con più frequenza da
parte delle organizzazioni criminali operanti nel settore agroalimentare con il
business delle Agromafie, che ha superato i 16 miliardi di euro nel 2015.
Per raggiungere l’obiettivo i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy.
