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Romania: Il tramonto di Băsescu. Un colpo di stato istituzionale

Creato il 11 luglio 2012 da Eastjournal @EaSTJournal


di Damiano Benzoni

Lucian Crusoveanu

Jos Băsescu!” (Abbasso Băsescu), hanno cominciato a gridare a gennaio centinaia di romeni in Piața Universității, negli sviluppi di una manifestazione contro le misure di austerità del governo del presidente Traian Băsescu e del primo ministro Emil Boc. A sei mesi di distanza, Băsescu è stato sospeso con una mozione di impeachment per accuse di interferenza con le altre istituzioni statali e ora attende che un referendum popolare decida se potrà portare a termine o meno il suo secondo mandato (che scadrebbe nel 2014) o se Crin Antonescu, presidente ad interim, diventerà il nuovo presidente della Romania. Quanto ha contato la piazza? E quanto può la sospensione del presidente essere considerata un progresso verso una democrazia più sana?

Traian Băsescu non incarna certo un modello di rispetto delle istituzioni e di incorruttibilità. Băsescu è, però, il presidente eletto e poi riconfermato dalla maggioranza dei cittadini romeni e, in situazioni normali, dovrebbe arrivare fino alla fine del proprio mandato. La sua popolarità è però calata dopo l’adozione delle misure di austerità che hanno innescato la miccia delle proteste. Una piazza che però non ha mai espresso sostegno verso Ponta e Antonescu e che, anzi, si è espressa sempre a favore di un rinnovamento totale della classe politica. E pur sempre, solo, una piazza: ovvero una minoranza attiva che, per quanto da tener presente, in una democrazia non può determinare la caduta di un presidente.

Quello che la piazza ha ottenuto, piuttosto, è stata la mossa che ha determinato il suicidio politico di Băsescu: le dimissioni del ministro Boc, rassegnate nel tentativo di disinnescare le proteste della piazza e di guadagnare tempo in vista delle elezioni legislative di novembre. Il sostituto di Boc, Mihai Răzvan Ungureanu, è durato appena pochi giorni in più del “periodo di grazia” in cui ancora non poteva essere sfiduciato. Tre mesi nei quali Ponta è riuscito a crearsi una maggioranza parlamentare in due camere da sempre affette da un’eccessiva mobilità partitica, per costringere Băsescu a nominarlo primo ministro.

Dal sette maggio Ponta ha intrapreso un’opera di demolizione delle istituzioni romene, gettando il governo nello scandalo a più riprese: prima con la nomina di un ministro che – in seguito a una condanna – non poteva ricoprire cariche pubbliche, poi bruciando in poche settimane tre ministri dell’Istruzione per scandali relativi a tesi plagiate e curriculum falsificati, poi finendo lui stesso nello scandalo per una tesi di dottorato plagiata. Tra i tanti scandali – solo alcuni qui riportati – il governo Ponta architettava la presa del palazzo presidenziale di Cotroceni. Lo scontro è arrivato all’escalation nelle ultime due settimane, con la decisione della Corte Costituzionale sulla disputa tra Băsescu e Ponta su chi avrebbe dovuto rappresentare la Romania al Consiglio dell’UE. Invece di rispettare la decisione favorevole al presidente, Ponta ha accusato la Corte di essere un’emanazione di Băsescu e si è comunque presentato a Bruxelles.

A suon di decreti esecutivi – senza quindi passare per l’approvazione parlamentare – il governo Ponta ha poi cambiato diverse regole nella legge sull’impeachment, esautorando la Corte Costituzionale (il cui parere sulla mozione di sospensione non è ora più vincolante) e cambiando la regola referendaria – che ora richiede una maggioranza meno estesa per l’approvazione della sospensione del presidente. L’ultima mossa è stata la sostituzione del presidente del Senato con Crin Antonescu: votato l’impeachment dal Parlamento, Antonescu è divenuto a rigor di Costituzione il presidente ad interim del paese e – se il referendum dovesse ratificare l’impeachment – avrà a disposizione un mandato pieno di cinque anni.

Le modalità di “guerra istituzionale” impiegate dal governo Ponta destano molta preoccupazione a livello internazionale, tanto da spingere alcuni a parlare di un colpo di stato istituzionale e a paragonare il cammino della Romania al regresso autoritario dell’Ungheria del governo Orbán. Il segretario generale del Consiglio d’Europa Thorbjørn Jagland ha richiesto formalmente che la Commissione di Venezia per la Democrazia attraverso il Diritto esprima un parere sul fatto che le recenti azioni del governo Ponta rappresentino o meno una violazione degli standard democratici dell’UE. Se è vero che la Romania chiedeva a gran voce un cambiamento, e che sarà il popolo a sancire o meno la sospensione di Băsescu attraverso il referendum, rimane quantomeno dubbio quanto Ponta e Antonescu possano rappresentare un cambiamento verso una democrazia più sana e un maggiore rispetto dell’indipendenza delle istituzioni.


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