Licia Satirico per il Simplicissimus
In questi giorni “Repubblica” dedica ampio spazio alla natura sorprendente di questo periodo storico, dove contro Equitalia e il fisco ostile si ritroverebbero fianco a fianco i bombaroli postali e gli impellicciati nullatenenti di Cortina (così Michele Serra, in un appello al discernimento contro la sindrome da shock recessivo, nell’Amaca del 7 gennaio scorso). L’inedito accostamento socio-antropologico è stato riproposto da un colloquio di Massimo Giannini con Attilio Befera, “bersagliato dai reietti dell’eversione violenta e accusato dagli inetti di una destra anti-borghese e illiberale”: un capro espiatorio ideale, sulla cui dura pelle si giocherebbe però la battaglia pro o contro lo Stato di diritto. L’evasione fiscale è uno scandalo che crea fratture politiche e sociali tendenzialmente insanabili. Proprio per questo Befera annuncia controlli severi simil-Cortina a partire da febbraio, con comodo preavviso per potenziali evasori, e minimizza la protesta contro i metodi kafkiani di Equitalia, che colpiscono – con caratteri efficacemente definiti “borbonici” da Alberto Capece Minutolo – non gli evasori conclamati, ma gente che non ce la fa a pagare. Vero è che Equitalia ha commesso e commette errori, ma su dieci milioni di cartelle esattoriali emesse ogni anno quelle pazze (come la maionese) non supererebbero il numero di mille*: la lotta all’evasione implica anche danni collaterali ed evidentemente il numero mille conosce tempi grami dall’epoca di Garibaldi, diventando cifra trascurabile socialmente adeguata in nome della giustizia contributiva.
In ogni generalizzazione aprioristica c’è qualcosa che non funziona, che lascia perplessi, che fa sentire nelle parole di Giannini le cartilagini di un rospo molto difficile da digerire. La prima cospicua porzione di rospo riguarda l’assimilazione tra il fenomeno delle bombe a Equitalia e le indignate proteste per il blitz a Cortina. I gesti criminali non vanno giustificati, ma bisogna capirne l’origine proprio per evitarne la proliferazione. In un’epoca tragica, scandita dai suicidi e dalla disperazione, la reiterazione dei pacchi bomba è il segno di un malessere sociale addirittura antitetico a quello che prende corpo nelle proteste di Gasparri, Santanché e Cicchitto: è il sintomo di una fortissima spaccatura del Paese, che una lotta all’evasione forte coi deboli e debole coi forti rischia di rendere irreversibile. Per troppo tempo abbiamo sentito dire da chi oggi sostiene in Parlamento il governo Monti frasi (citate dallo stesso Giannini) come “se lo Stato mi chiede il 50% di quello che guadagno mi sento autorizzato ad evadere”, oppure “non metterò le mani nelle tasche degli italiani”. Le mani di Berlusconi vagavano distratte in parecchi luoghi economici e anatomici, mentre tra un condono e l’altro il falso in bilancio diventava un reato bonsai e le norme anti-evasione varate da Vincenzo Visco venivano abrogate o ignorate. Le reazioni scandalizzate dei difensori dei ricchi dovrebbero essere seppellite da una risata amara: sulle bombe, però, non c’è proprio nulla da ridere. Viene da pensare, anzi, che si sia innestato un circolo vizioso tra i protettori delle località turistiche d’élite e gli esacerbati dal fisco, con tutte le sue insidiose implicazioni. Non pare che il governo Monti, Cortina a parte, abbia dato finora importanti segni di discontinuità fiscale rispetto al passato recente.
Il corpo del rospo è denso di considerazioni fibrose sui metodi della lotta all’evasione, che non possono sovrapporsi indebitamente ai modi brutali di riscossione (operativi anche per le cartelle non pazze) né appiattirsi sui blitz di Capodanno. Lo stesso Vincenzo Visco, in un’intervista alla “Stampa”, ha spiegato come la lotta ai professionisti della nullatenenza lucrosa non si basi su colpi a effetto, ma debba inserirsi in un percorso culturale e giuridico di dissuasione dall’evasione sistematica, oggi possibile controllando i diversi milioni (4 o 5) di contribuenti a rischio.
La coda del rospo è infine rappresentata dal “danno collaterale” – riconosciuto dallo stesso Befera de Malaussène – di mille famiglie l’anno tartassate ingiustamente da Equitalia e costrette a pagare prima di poter dimostrare l’errore. Considerare “queste eccezioni come un sistema è ingiusto e sbagliato”, dice Befera. Mille casi l’anno sono un’eccezione o una cifra raggelante? Pare di capire che non siano episodi isolati, destinati a risolversi con solenni scuse al contribuente vessato, ma una percentuale cinicamente messa in conto senza valutarne l’impatto sociale di lungo periodo. Senza pensare che un Paese che non discerne più l’esasperazione dalla sperequazione è il vero sonno della ragione.
*(Con la consueta ontologia della menzogna tipica di questi anni, Befera, ammesso che il numero di mille sia reale e non una pura invenzione da riferire al giornalista che non deve chiedere mai, si riferisce agli errori commessi direttamente da Equitalia, ma non al numero gigantesco di “sviste” fatte dagli enti creditori e che la società di riscossione passa senza alcun controllo, nonostante la cospicua cresta che fa sul recupero della somme. Questo aggiunge al borbonico un che di brigantesco. A.C.M)