ROMANZO DI UNA STRAGE (Italia 2012)
La verità impossibile di Piazza Fontana: un’analisi storica
Ancora prima della sua uscita sugli schermi, Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana ha provocato le reazioni più disparate e ha fornito lo spunto per decine di articoli. Solo per citarne un paio penso a quelli di Stajano sul “Corriere della Sera” e di Scalfari su “Repubblica”; Adriano Sofri ha scritto addirittura un “instant book” per riaffermare la “sua” verità su quello che accadde in quei tumultuosi anni, e il figlio del commissario Calabresi, oggi direttore della “Stampa”, ha aggiunto considerazioni personali alla visione della pellicola.
Non vi era dubbio che questo film avrebbe fatto discutere, e questo non è detto che sia un male, anzi, ma credo che a essere stato sottovalutato sia proprio il titolo della pellicola, che funge da chiave di lettura: Romanzo di una strage. Giordana, quindi, non si pone l’obiettivo di realizzare un documentario o un’inchiesta sugli avvenimenti milanesi, ma vuole rileggere, come in un libro, clima e personaggi, nel tentativo di fornire un insieme coerente. Impegno notevole se solo si pensa alla sterminata letteratura, alle inchieste giornalistiche e ai processi che si sono susseguiti negli anni – ben sette, che si sono conclusi nel peggiore dei modi: non esiste un colpevole per quella strage, fatto che Giordana sottolinea alla fine del film.
Nessuna verità giudiziaria significa nessuna verità?
Difficile dirlo, e lo stesso regista rischia di “avvitarsi” quando mette in scena la teoria delle due bombe: quella anarchica, che sarebbe però frutto di fascisti infiltrati con il beneplacito dei servizi segreti, e quella nera, ed ecco le frange venete dell’estremismo di destra, anche queste appoggiate o “coperte” da apparati dello Stato, teoria che a molti sembra troppo “fantasiosa”.
Eppure stiamo parlando di un Paese nel quale vi era una struttura segreta paramilitare, o forse sarebbe meglio dire semiufficiale, la “Gladio”, con basi sparse in tutta Italia costruite per far fronte a un’”invasione” comunista che si sarebbe potuta manifestare anche con la salita al potere del Pci, da respingere con le armi e con la forza. Struttura di cui nel 1990 lo stesso Giulio Andreotti riconobbe l’esistenza e di cui nella pellicola di Giordana vediamo un bunker a cui avrebbero attinto, per gli esplosivi, proprio i terroristi neri veneti.
Una scena quasi secondaria nel film, ma di grande valore. Il militare che dice al commissario Calabresi “Sa che cos’ho fatto io quando ho trovato questa? Niente, faccio finta di non sapere, non so” è davvero sintomatico di come in quegli anni una parte dello Stato sapesse, senza reagire, cosa ordiva l’altra. Occhio non vede…
Ancora, il giudice Paolillo, inizialmente incaricato di indagare sulla strage, incontra Calabresi e gli dice: “Vede il poster ritrovato vicino al luogo dell’esplosione? È servito per incriminare gli anarchici, ma io l’ho fatto analizzare ed è stato stampato dall’Aginter Press”. E si resta ovviamente sconcertati a pensare che un poster stampato probabilmente in Portogallo nella sede di quella che è stata considerata un’”internazionale nera” di fascisti europei, che raccoglieva dossier su molti personaggi politici vicini alla sinistra extraparlamentare europea, venisse trovato proprio a due passi dal luogo dove tutto comincia, dove si mette in moto la terribile macchina chiamata “strategia della tensione”.
Fantasia o realtà? Difficile dirlo e difficile crederci, eppure tre giornalisti italiani – Incerti, Ottolenghi e Raffaelli – hanno potuto fotografarne i documenti dopo il colpo di stato portoghese nel 1974, hanno tentato di ricostruirne l’attività, seppure solo parzialmente, e quello che ne viene fuori è terribile, drammatico, incredibile. I servizi segreti di mezza Europa e parte della Nato e dei servizi americani hanno per anni coperto e finanziato le peggiori organizzazioni terroristiche neofasciste. Per contrastare l’apertura a sinistra, certo, ma forse anche per finalità legate a un potere personale e per nulla democratico.
Alla fine della proiezione resta l’amarezza, la stessa che viene magistralmente interpretata da un Fabrizio Gifuni/Aldo Moro, di colui che sa ma che non può intervenire a meno di non distruggere la cosa in cui più crede: l’Italia. Un Moro che agisce con cinismo ma anche con la consapevolezza che i compromessi sono l’unica via per uscire dalla follia che lo circonda e che finisce per chiedere di essere egli stesso “vittima” per espiare le colpe sue e di una democrazia incompiuta. Verrà tragicamente accontentato qualche anno dopo.
Di questa drammatica vicenda che è la storia del nostro Paese ognuno ha i suoi ricordi, ognuno ha qualcosa da rettificare. Mi chiedo, però: e chi invece quell’epoca non l’ha mai vissuta? Che cosa resta a un ragazzo di vent’anni dopo aver visto questo film? Dopo aver letto magari decine di libri sull’argomento? Che Paese gli hanno consegnato quarant’anni di silenzi, di bugie, di imbarazzanti sentenze? Quale Italia?
Luca de Berardinis (devilpress.wordpress.com)
Il film
Sarà online da domani la recensione di Romanzo di una strage.
A.G.