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Romario, quell' arrogante che ha incantato tutti, americani compresi

Creato il 18 maggio 2010 da Emozionecalcio
ROMARIO, QUELL' ARROGANTE CHE HA INCANTATO TUTTI, AMERICANI COMPRESIDI FRANCO ROSSISe parli di Pelè a un vecchio brasiliano questi si toglie il cappello per un senso di devota gratitudine.Se gli parli di Garrincha, il vecchio si mette a piangere. Pelè era l’istinto imprigionato dalla ragione, Garrincha era un bambino che evitava la ragione per dar sfogo al proprio irrefrenabile istinto. Il primo era un professionista al limite della perfezione, il secondo era molto di più: era un poeta.Così nel cuore dei brasiliani se Ronaldo può (forse) aver preso il posto di Pelè, quello di Garrincha è stato ereditato da Romario.Di quest’ultimo anche i difetti diventano pregi. Indisciplinato, arrogante, presuntuoso, amante della bella vita perchè alle brutture del mondo (la fame e l’emarginazione sofferta hanno lasciato in lui tracce profonde) è stato costretto a vendere una larga fetta della propria incorruttibile infanzia.La musica nei piedi.
Avete mai visto un brasiliano colpire volutamente la palla con la punta della scarpa?Io mai, nemmeno dai più scarsi. Avete mai sentito uno di loro sotto la doccia canticchiare una canzone e non tenere il giusto ritmo? Io mai, nemmeno da quelli che non saprebbero capire la differenza tra Jovanotti e Frank Sinatra.E’ per questa semplice ragione che “desafinado”, parola che in italiano significa “stonato”, per un calciatore brasiliano è un’autentica offesa.
Nel mondo sono molte le persone brave a giocare al calcio e ancor di più sono quelle che sanno ballare tenendo il giusto ritmo, ma soltanto alcuni fuoriclasse brasiliani son capaci di ballare e giocare al calcio contemporaneamente.
Quando Romario colpisce il pallone la nota che ne viene fuori è così nitida e perfetta che ci si potrebbe accordare un pianoforte.E un Paese come il Brasile, che musica e calcio li ha nel profondo del suo essere, non poteva che innamorarsi di uno come lui, innamorarsi sino al delirio.
E ai Mondiali del ‘94 la “cotta” per lui se la son presa tutti, americani in testa. Ogni volta che Romario ha la palla tra i piedi ti aspetti che faccia una cosa e lui ne fa un’altra. La seconda volta pensi che rifà ancora quella giocata e lui riesce a meravigliarti ancora inventandone una inedita.
Segna un gol dietro l’altro e nè Zagalo nè Parreira possono far debuttare il diciassettenne Ronaldo. Una sera a Los Gatos, dov’è in ritiro la Seleçao, mi spiega Zagalo: “Ronaldo è un fenomeno, ma può giocare solo al posto di Romario e non si può cambiar nulla perchè questa è una squadra tenuta assieme con il nastro adesivo.
Il Brasile stenta con l’Olanda e con la Svezia è Romario che segna il gol che vale l’ammissione alla finale con l’Italia. Lo segna di testa contro difensori di quasi due metri, lui che supera l’1,60 per una questione di millimetri.Alla vigilia della partita con gli azzurri Itamar Franco, presidente ad interim del Brasile, in televisione rilascia una dichiarazione nella quale invita Parreira e Zagalo, a nome di tutti i suoi concittadini, a far giocare Ronaldo. L’Espn, il network che negli Usa si occupa prevalentemente di sport, manda in onda la registrazione dell’intervista e Parreira convoca i duecento e passa inviati dei quotidiani e delle televisioni brasiliane e improvvisa una conferenza stampa nella quale rilascia una dichiarazione che a Brasilia provoca quasi una crisi di governo: “Se Itamar Franco sapesse gestire il Brasile come io gestisco la Seleçao, saremmo un Paese del Primo e non del Terzo mondo”.
E’ Romario che gioca la finale con l’Italia. Sbaglia un gol facile, non sbaglia uno dei rigori che assegnano il titolo. Dunga e Romario, capitano e cannoniere del Brasile campione del mondo, dovevano arrivare alla Fiorentina nel 1987. Sven Goran Eriksson, che a quei tempi allenava la squadra viola, quando gli comunicarono che sarebbero arrivati i due brasiliani rispose testualmente: grazie, non mi interessano. Al loro posto acquistatemi Rebonato e Bosco dal Pescara.
Così Dunga fu dirottato a Pisa (in prestito) e Romario se ne rimase a Rio, nel Vasco da Gama, per due anni. Fu acquistato nel 1989 dal Psv Eindhoven, la squadra di calcio della Philips, la multinazionale che in Brasile vanta crediti colossali.
Uno dei proprietari del Vasco (Eurico Miranda) era socio di un’azienda importatrice di materiale elettronico che a quei tempi aveva un debito con la Philips di circa trenta milioni di dollari.
Denaro speso (si fa per dire) per l’acquisto di televisori, giradischi, rasoi elettrici, registratori ed altre apparecchiature elettroniche. La Philips sapeva benissimo che di quei soldi non ne avrebbe visti che una minima parte e fece un discorso chiaro e semplice: per il cartellino di Romario chiedete sei milioni di dollari? Bene, ve ne diamo tre e altri sei ve lo scaliamo dal debito.
Nel 1993 il Psv vende il fuoriclasse al Barcellona per quattordici milioni di dollari (un’operazione che sarà ripetuta quasi in fotocopia con Ronaldo) e l’anno dopo Romario è eroe al Mondiale d’America.
E’ la rivincita di Romario de Souza Farias Filho. Nato poverissimo nella favela Jacarezinho, la più miserabile di Rio, si ritrova, a ventotto anni, ad essere l’idolo di centosessanta milioni di persone. Romario ha il sorriso triste, carico di disperata allegria, di chi è stato costretto, per sfuggire alla fame, il più implacabile dei nemici, a diventare adulto senza mai essere stato bambino. A dodici anni era già un assiduo frequentatore dei posti di polizia: non sempre riusciva a sfuggire alle tentazioni che la miseria più nera induce.Faceva parte di una di quella bande che per sfamarsi sfidano anche i terrificanti squadroni della morte. Accusato di piccoli furti evitò il rifomatorio e non fu reclutato dalla malavita vera per un motivo semplicissimo: nel dar calci ad una palla, sia pure di stracci, era bravo come nessun altro e Antonio Lopez, uno degli osservatori del Vasco da Gama, se lo portò via in tempo.
In pochi anni non divenne soltanto l’idolo dei tifosi vascaini, ma anche (e sopratutto) il simbolo di tutta una generazione di emarginati (in pratica di quasi tutto il Brasile) che attraverso il pallone cerca disperatamente la catarsi.Negli ultimo quarto di secolo nessuno è stato amato come lui, nemmeno Zico.Perchè somiglia a Garrincha, il fenomeno assoluto che gli europei (a parte i francesi) non hanno capito appieno, ma che nei cuori dei brasiliani aveva un posto speciale, un posto che non era insidiato nemmeno da Pelè.
Da Romario il pallone viene accarezzato per farne scaturire note perfette, poesie liberatorie, festose allegrie. Per dare un senso a una vita, che di sensato, spesso, non ha nulla. I suoi gol non sono mai qualcosa di razionale, ma un’invenzione istintiva, una carezza consolatoria, una gioia assoluta.
Romario ha preso il posto di Ayrton Senna nello spazio che un popolo riserva ai sentimenti.Lo sfortunato pilota era ciò che i brasiliani avrebbero voluto essere. Romario, invece, è ciò che i brasiliani sono.
FRANCO ROSSI

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