Romolo Guerrieri e Giovanni Berardi
Il miglior cinema di genere in Italia porta anche il nome del regista Romolo Guerrieri. Ma, secondo noi, la sua filmografia, in quel contesto, non resta ancora assolutamente storicizzata e celebrata come altre, perchè nei suoi film è presente, continuamente e significativamente una statura d’autore ed una maggiore intimità che, anche nelle opere migliori dei diretti colleghi – i vari Umberto Lenzi, Enzo G. Castellari, Sergio Martino, Aldo Lado, Ruggero Deodato, ad esempio – non sono significativamente presenti.
Romolo Guerrieri resta, secondo noi, nel contesto e per la grammatica del cinema di genere, un autore decisamente spurio, molto sottovalutato e nascosto dal cinema d’autore, ed un po’ rifiutato anche dalla critica, dagli addetti ai lavori e dagli estimatori del cinema puramente di genere. Questa è un’ipotesi, pensiamo, che spiega un po’ perchè delle cose che ha fatto Romolo Guerrieri, nella assoluta economia del cinema di genere italiano, si continua a parlare e a testimoniare sempre troppo poco e sempre con troppa approssimazione. Ed invece certi film da lui diretti potrebbero essere decisamente essenziali, appunto, per decantare l’autorità ed il rispetto che si merita il miglior cinema di genere italiano: pensiamo ad esempio ad un titolo come Il dolce corpo di Deborah, con una sceneggiatura che porta il nome di Ernesto Gastaldi, uno dei primissimi thriller a sfondo erotico italiani, che Guerrieri ha realizzato dopo essersi allontanato, su suggerimento del produttore Luciano Martino, dal western all’italiana. Guerrieri aveva peraltro regalato al genere western titoli essenziali per la grandezza e la originalità del genere, caposaldo, per quasi un decennio, del mercato: 7 magnifiche pistole (1966), Johnny Yuma (1967) e 100.000 dollari per un massacro (1967).
Intanto, oggi possiamo anche pensarlo, un film come Il dolce corpo di Deborah, che Guerrieri ha realizzato nel 1968, pur nei suoi limiti produttivi, potrebbe avere aperto le porte, e nutrito l’ispirazione anche, ad un film come L’uccello dalle piume di cristallo (1969), che Dario Argento realizzerà, in maniera senz’altro straordinaria e produttivamente molto più ricca del film di Guerrieri, appunto nella stagione cinematografica successiva, cogliendo un successo strepitosissimo di pubblico e critica.
Dopo il successo de Il dolce corpo di Deborah, Romolo Guerrieri gira Un detective (1969), un poliziesco sceneggiato e realizzato in maniera davvero sorprendente per la sua armonia artistica, con tempi tecnici e ritmi precisi, che qualche critico autorevole non ha avuto remora alcuna ad accostare ai titoli migliori di Jean Pierre Melville; un film peraltro con un cast prestigioso e di valore internazionale, costituito da attori come Franco Nero e Florinda Bolkan, e da un budget produttivo medio alto, segno evidente che la carriera di Guerrieri veniva seguita dalle produzioni con una certa autorevolezza ed un certo esplicito rispetto. Una ulteriore prova di distacco dal cinema d’azione puro sarà anche Il divorzio (1971), che Guerrieri realizza attraverso gli stilemi della commedia all’italiana, strepitosa nel periodo, quella in cui autori come Antonio Pietrangeli, Mario Monicelli, Alberto Lattuada, Pietro Germi, Dino Risi, Luigi Comencini, Ettore Scola sapranno esprimersi, in più di qualche pellicola, con esiti assolutamente geniali, tanto da dare vita quasi, e del tutto inconsapevolmente c’è da aggiungere, ad un movimento culturale cinematografico, dove i titoli migliori (pensiamo a I soliti ignoti, Il sorpasso, Una vita difficile, Divorzio all’italiana, Io la conoscevo bene, La spiaggia) autorizzano a parlare, oggi, quasi di una autentica scuola di antropologia e di sociologia atta a storicizzare il periodo.
Dice Romolo Guerrieri: “La mia scuola di cinema è stato il set e quella di avere un fratello che si chiamava Marino Girolami. A lui devo tutta la formazione iniziale”. Marino Girolami era un regista commerciale in grado di girare contemporaneamente più film, con le operazioni di montaggio già ben presenti e ben delineate nella sua testa. Anzi è stato proprio lui a rendere praticabile proprio il montaggio in macchina, cioè a trovare e rendere possibile, e questo proprio ambiente dopo ambiente, una modalità logistica dove potere seguire la sceneggiatura in maniera ordinata e progressiva, tanto da riuscire a rendere quasi conseguenziale il lavoro successivo del montaggio in moviola della pellicola girata. Marino Girolami era davvero un’atleta dello spettacolo, d’altronde veniva proprio dallo sport, in giovane età era stato campione di pugilato.
Dice Guerrieri: “Sono stato l’aiuto di Marino in cinque film. Ricordo il primissimo, girato a Roma nell’agosto del 1952, dove insisteva una Roma davvero, e proprio per questo sorprendentemente, deserta. Il film era Noi due soli, con Walter Chiari e Carlo Campanini. Poi le mie esperienze come aiuto, e la mia scuola sul set, sono continuate lavorando accanto ad autori come Franco Brusati e Giuseppe De Santis. Con De Santis ho lavorato ad un film, Italiani brava gente che, ricordo, fu particolarmente difficile, girato cinque mesi in Russia e cinque in Ucraina”. Guerrieri ricorda il set di De Santis, per la sua esperienza, fondamentale e ricco di lezioni; De Santis passava come un ammazza produttori, invece non era vero. Era solo rigoroso. Guerrieri ricorda che De Santis amava molto le gru come strumento essenziale di lavorazione. Dice Guerrieri: “Un giorno si girava una scena dove erano previste l’uso di settecento comparse. De Santis era in alto con la gru, e mi segnalava le posizioni da dare alle comparse, “un gruppo qua, un altro là” gridava dal megafono, “dai Romolo” diceva, “datti da fare”, ed io ad un certo punto gli grido, “e datti da fare come, qui il personale umano è finito”. Stop, grida De Santis e scende dalla gru. Contiamo le comparse, non erano settecento, ne mancavano più di duecento, e De Santis: “basta oggi non si gira più, domani devono esserci settecento comparse”. Ebbene De Santis mi ha trasmesso proprio questo: la rispettabilità rigorosa di un piano di lavoro. Se in sede di progetto e di previsioni con la produzione abbiamo stabilito tanto, allora tanto deve risultare durante la lavorazione. Niente e nulla deve venire meno. È una esigenza, un imperativo, di cui quale anch’io ho fatto tesoro ed ho sempre osservato in maniera particolare”.
È stato Alessandro Iacovoni, mitico produttore di Se sei vivo spara di Giulio Questi, a fare debuttare Guerrieri come regista, e nei tempi in cui era necessario, per la migliore commerciabilità dei film di genere italiani, ‘esterofilizzare’ il nome del regista e degli attori principali, finanche quello del produttore, del direttore della fotografia e del compositore della colonna sonora. Almeno così per un certo periodo, nell’ambiente, si era autorizzati a pensare. Ed allora Romolo Guerrieri diventa, nella prima fase della sua carriera, Rod Gilbert, “uno pseudonimo che avevo scelto” dice Guerrieri “anche per mantenere intatte le iniziali del mio nome vero, Romolo Girolami. Poi, in un secondo tempo, sono stato costretto a cambiare anche il mio cognome reale Girolami in Guerrieri, il cognome di mia madre, perchè il cognome Girolami nell’ambiente del cinema dell’epoca era troppo riconducibile al genere comico, quello di cui mio fratello Marino era un vero esperto ed un vero stakanovista”.
Il film d’esordio di Guerrieri è Sette magnifiche pistole (1966), nato da un soggetto originale di due importanti autori, Sergio Corbucci e Duccio Tessari, ed interpretato da Sean Flynn, figlio del grande attore americano Erroll Flynn, da Fernando Sancho ed Evelyn Stewart. Ricorda Guerrieri: “Era un piccolo film, realizzato con tutti i limiti che le produzioni italiane offrivano a chi debuttava, ma la lavorazione me la ricordo gioiosa ed il film anche delizioso”. Continua Guerrieri: “In quel periodo continuavano ad offrirmi solo film western, e devo dire che mi piaceva anche molto realizzarli, feci così subito dopo, nel 1967, Johnny Yuma con Mark Damon, Rosalba Neri e il grande attore di teatro che era Luigi Vannucchi, e 10.000 dollari per un massacro, che è il western che di gran lunga preferisco e che aveva tra gli interpreti Gianni Garko, Loredana Nusciak, Claudio Camaso Volontè, fratello di Gianmaria, Fernando Sancho, Pinuccio Ardia, Massimo Sarchielli (sarà in futuro un apprezzato autore del cinema underground italiano), Dada Gallotti, Jimmy il Fenomeno. Così dopo il buon successo di questo ultimo film, il produttore Luciano Martino, assertore delle mie possibilità anche al di fuori del genere western, riuscì a convincermi a cambiare registro. Mi portò la sceneggiatura di Gastaldi, appunto, Il dolce corpo di Deborah. Io avevo i miei dubbi però mi propose come attori autentiche star del periodo, Jean Sorel, che allora veniva da un film di Luchino Visconti e Carrol Baker. A quel punto non potevo rinunciare ad una opportunità così decantata”. E la carriera di regista di Romolo Guerrieri prende decisamente il suo autorevole volo.
Nel 1971, dopo aver diretto la commedia di costume Il divorzio, ecco girare un prestigioso titolo drammatico, La controfigura. Siamo ancora, qui, ad un cinema assolutamente personale, consono alle velleità artistiche dell’autore Romolo Guerrieri, e completamente autonomo dalla schiera di film che l’industria del periodo tendeva a realizzare in maniera massiccia e, qualche volta, anche, quasi, come perfette fotocopie. La controfigura è un film meraviglioso, ma che stranamente passa un po’ sottosilenzio, senza suscitare clamori particolari e sorprendenti, che eppure si sarebbe meritato. Qualcuno però, nella critica ufficiale dei quotidiani dell’epoca, ha puntellato davvero a La controfigura echi hitchockiani. Ma è nel periodo che va dal 1973 al 1978 che Guerrieri realizzerà i suoi film che, seppure ancora di fattura anomala rispetto alla tipicità del genere, soprattutto per la loro grammatica, verranno circoscritti ugualmente nel contesto del cinema di genere più dichiarato ed esplicito, come quello che, nel periodo, avrebbe visto nascere, con la definizione facile ed un po’ gratuita, “il poliziottesco”: titoli quali La polizia è al servizio del cittadino?, girato con Enrico Maria Salerno, Giuseppe Pambieri, Daniel Gelin, John Steiner, Memmo Carotenuto, Venantino Venantini, Un uomo, una città, ancora con Salerno protagonista e con Luciano Salce, Tino Scotti, Francoise Fabian, Paola Quattrini, il cantante torinese Gipo Farassino, Liberi, armati, pericolosi, con Tomas Milian, Eleonora Giorgi, Max Delis, Benjamin Lav, Stefano Patrizi, Venantino Venantini ed un esordiente, giovanissimo ed irriconoscibile, Diego Abatantuono, Sono stato un agente CIA, con David Janssen, Maurizio Merli, Arthur Kennedy, Corinne Clery, Philippe Leroy, Ivan Rassimov, Giacomo Rossi Stuart sapranno presentare i loro protagonisti come letteralmente contrari agli eroi estremi del cinema di questo genere. I personaggi di Guerrieri sapranno restare tutti degli antieroi. Dice Guerrieri: “Convincere Tomas Milian ad accettare il ruolo in Liberi, armati, pericolosi, lui che era un attore che amava nascondersi dietro i personaggi, fu complicato, perchè Milian all’inizio non voleva proprio farlo. Spiegava che veniva dai film di Bruno Corbucci, che ormai avevano creato una maschera stabile per un personaggio che stava maturando, il famoso maresciallo Giraldi- Monnezza, e non voleva contaminarlo con altre possibilità, anche se in altri film. Un giorno nella sua bellissima casa in Prati, qui a Roma, dove Milian abitava, una casa piena di specchi dove Tomas continuamente si rifletteva – devo dire che era davvero un bellissimo uomo e come tale vanitosissimo – ebbene lui era davanti allo specchio, mi avvicino e gli dico “guarda, è solo una prova che voglio fare” e prendo i suoi capelli, glieli riporto tutti all’indietro, gli scopro la sua enorme fronte, lo faccio osservare e gli dico: “ecco, nel mio film ti vedo fisicamente così, vedi come sei bello”. Solo così, e devo dire ormai semplicemente, Tomas si è convinto, proprio improvvisamente, del suo ruolo”.
Liberi, armati, pericolosi è stato un grande successo, era tratto dai racconti dello scrittore Giorgio Scerbanenco e alla sceneggiatura del film ha collaborato il regista Fernando Di Leo. Guerrieri si è anche cimentato nel genere comico, due esperienze sono all’attivo in questo senso, L’importante è non farsi notare (1979), girato con il trio delle Sorelle Bandiera, personaggi molto famosi in televisione in quel segmento di tempo, ma, pensiamo, proprio per questa frettolosa e quotidiana celebrità domestica, forse, la loro versatilità è risultata poco adatta per il cinema, e La gorilla (1982), dove insisteva propriamente una Lory Del Santo, anche lei più che altro un prodotto della televisione, abbondantemente in gran forma. Confessa il regista che, in fondo e tutto sommato, La gorilla è stato fatto proprio perchè la Del Santo era la provocante protagonista.
Ma è con il film Salvo D’Acquisto, nelle sale nel 1975 (tra l’altro è il film amato particolarmente dal regista), che Guerrieri sente netta l’esigenza di narrare una tragica pagina di storia italiana. In questo film, più che in altri, l’esigenza dell’autore Guerrieri raggiunge, pensiamo, vari e precisi obiettivi, come ad esempio la scommessa sulla interpretazione di D’Acquisto da parte di Massimo Ranieri, perchè all’epoca Ranieri non era ancora l’attore decisivo che sarebbe diventato più tardi, anche in teatro e dietro la maestria di Giorgio Sthreler. Ranieri, cantante di successo, aveva già alle spalle, è vero, alcuni importanti film di un regista eccellente come Mauro Bolognini (Metello,1970, Bubù, 1971, Imputazione di omicidio per uno studente, 1973) ma la sua personalità di attore ancora non era effettivamente matura. Inoltre particolarmente felice fu l’idea, infine, di utilizzare un sito speciale – la riserva naturale di Torre Astura a Nettuno, sul litorale romano, protetta da una amministrazione del Ministero della Difesa – dove nel silenzio della storia, Guerrieri ha ambientato, in dodici giorni di riprese, quella che è la sequenza assoluta del film: la fucilazione di Salvo D’Acquisto, ventitre anni, carabiniere a Torrimpietra, che accusandosi di una colpa che non aveva (l’attentato ad una caserma tedesca della zona), riuscirà a salvare la vita a venti ostaggi innocenti.
Giovanni Berardi