Nel momento in cui sto scrivendo queste righe la Notte degli Oscar non c'è ancora stata e io sto tifando spudoratamente per Room, diretto nel 2015 da Lenny Abrahamson, tratto dal romanzo omonimo di Emma Donoghue e candidato a quattro premi Oscar (Miglior Film, Brie Larson Miglior Attrice Protagonista, Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura Non Originale). Siccome però la mala distribución italiana ha deciso di fare uscire Room il 3 marzo ecco che ho scelto di pubblicare oggi la recensione di questo splendido film.
Trama: Jack è nato e cresciuto all'interno di una stanza, dove ha vissuto con la madre per cinque anni, convinto che il mondo esterno fosse solo fantasia. Un giorno però entrambi escono da quell'ambiente chiuso e il piccolo comincia a scoprire una realtà al tempo stesso eccitante e paurosa...
Spesso tendiamo a dimenticare che quello che siamo lo dobbiamo non solo al modo in cui ci hanno cresciuti ma anche all'ambiente in cui abbiamo vissuto da bambini, ai ricordi creati da piccoli oggetti all'apparenza insignificanti, da quello che ci hanno raccontato i nostri genitori, inculcandoci magari anche idee e preconcetti che poi abbiamo scoperto non corrispondere proprio alla realtà. Ovviamente, moltissime cose crescendo ce le lasciamo alle spalle ma credo che ciò che di importante abbiamo assorbito durante l'infanzia rimanga e contribuisca a formare il nostro carattere di adulti, condizionando anche scelte banali relative agli affetti, alla casa, al lavoro purtroppo no perché qui in Italia ognuno fa quel che trova se lo trova. Questo per dire che io, Erica Bolla, sono una persona fondamentalmente equilibrata perché ho avuto un'infanzia serena, passata in un posto di campagna, all'interno di una casa in affitto ma comunque carina, con due genitori assennati e severi il giusto, tuttavia ora mi scoppio quasi tutti i soldi in ca**ate probabilmente proprio perché i miei hanno rifiutato di assecondare moltissimi miei capricci, lasciandomi a sbavare sulle immense collezioni di My Little Pony, film Disney, Swatch e quant'altro delle amiche più abbienti/viziate e accontentandomi giusto a Natale ma mai come avrei voluto. Jack invece, povero piccino, è nato e cresciuto in una stanza. Anzi, in Stanza, come se si parlasse di una persona. E perché no? Quando un bambino conosce solamente una stanza chiusa e la sua unica compagnia è quella di Ma e dei pochi arredi di quel luogo, diventa quasi normale che un "animale" socievole qual è l'uomo decida inconsciamente di personificare degli oggetti, trasformandoli in compagni di gioco e amici. Soprattutto se Ma, per far sì che il figlio non si faccia troppe domande sulla propria condizione, gli racconta che le persone che si vedono in TV non sono reali e non esiste un mondo esterno a Stanza. Sinceramente, una condizione simile non posso neppure immaginarla, non riesco a mettermi nei panni di un bimbo che non sa assolutamente nulla della realtà al di fuori di una stanza, piuttosto posso arrivare a concepire un bambino nato e cresciuto libero in una foresta ma non un piccolino che conosce solo questa strana forma di cattività. Eppure, guardando Room si arriva a condividere in toto le sensazioni di Jack e quanto diventano assurdamente plausibili i suoi pensieri rivolti a quel mondo estraneo, troppo veloce e confuso, affascinante e spaventevole allo stesso tempo, quanto dolorosamente comprensibile il suo desiderio di tornare a rifugiarsi nella Stanza mentre Ma si lascia sopraffare dalla disperazione, dalla vergogna e dal rimpianto!
Room è un film che si insinua sottopelle e si prefigge di rimanere nel cuore dello spettatore a lungo, così come lo sguardo diffidente e spaventato di Jack, bimbo coinvolto in una vicenda incomprensibile ed ingiusta. Il piccolo Jacob Tremblay è favoloso, all'età di dieci anni sarebbe stato in grado di sbaragliare tutti i suoi colleghi più grandi, se solo gli avessero concesso l'onore di una candidatura all'Oscar in una kermesse che mai come quest'anno mi è sembrata tanto stupida e gestita da incompetenti. Il legame tra Jack e Ma è di quelli in grado di spezzare il cuore, poiché costringe lo spettatore a dividersi tra comprensibili moti di affetto verso un bambino tanto sfortunato e un'enorme empatia nei confronti di una donna costretta a prendere decisioni difficili e discutibili; la giovane Joy, questo il nome di Ma (e per pietà mi viene male al pensiero che lo stesso nome lo condivida un personaggio interpretato da un'altra attrice che a Brie Larson non è neppure degna di leccare le scarpe!), si comporta in maniera egoista, isterica e spesso ingiusta ma chi non reagirebbe come lei in una situazione simile? Come ci si può guardare allo specchio dopo aver perso gli anni migliori della propria vita e come si può non soccombere al senso di colpa quando qualche malelingua insinua nella nostra mente dei dubbi orribili? Di fronte a questi personaggi semplici ma a modo loro grandiosi parrebbe quasi superfluo guardare alla regia, invece Lenny Abrahamson riesce nel miracolo di trasformare un ambiente potenzialmente monotono come quello di una stanza in un mondo tutto da scoprire, quasi un universo infinito; il trucco è concentrarsi sui personaggi, lasciando il resto sullo sfondo sfocato, ingannando lo spettatore quel tanto che basta prima di ricatapultarlo all'interno di quelle quattro, soffocanti pareti, e colpirlo nuovamente con la fatidica domanda: perché Ma e Jack non escono da lì? Non starà a me dirvelo, fa tutto parte del gioco. Il mistero sulla condizione di Jack ci porta a farci le stesse sue domande e a guardare con diffidenza non solo quegli elementi perturbanti celati all'interno di Stanza ma anche la stessa Joy, precipitandoci nell'incertezza e nella confusione, anche quando l'azione si sposta in quel mondo esterno filtrato dagli occhi azzurri del bambino. Perché non sempre la libertà coincide con una felicità immediata, non quando il mondo che NOI conosciamo può risultare alieno ed inquietante quanto un pianeta lontano. Lasciate che Jack vi catturi e cercate di guardare questa realtà familiare e tranquilla attraverso ai suoi occhioni: non la dimenticherete più, fidatevi.
Del regista Lenny Abrahamson ho già parlato QUI. Joan Allen (Nancy) e William H. Macy (Robert) li trovate invece ai rispettivi link.
Brie Larson (vero nome Brianne Sidonie Desaulniers) interpreta Ma. Americana, ha partecipato a film come Scott Pilgrim vs. The World, Don Jon e a serie come Ghost Whisperer. Anche sceneggiatrice, regista e compositrice, ha 27 anni e quattro film in uscita.
Sean Bridgers interpreta Old Nick. Americano, ha partecipato a film come Grano rosso sangue II: Sacrificio finale, Nell, The Woman, Dark Places - Nei luoghi oscuri, L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo e a serie come Criminal Minds, Cold Case, CSI e Bones. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 46 anni e tre film in uscita.
Emma Watson, Rooney Mara e Shailene Woodley, assieme a Brie Larson, erano state tutte prese in considerazione per il ruolo di Ma, tuttavia alla fine la "gara" si è ridotta ad essere tra la Woodley e la Larson, risolvendosi felicemente (e per fortuna!!) per quest'ultima. Sinceramente, se Room vi fosse piaciuto non saprei cos'altro consigliarvi di vedere quindi posso solo dirvi di cercare e leggere il romanzo di Emma Donoghue, intitolato in Italia Stanza, letto, armadio, specchio. ENJOY!
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