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Room

Creato il 15 marzo 2016 da Jeanjacques
Room
Internet ha indubbiamente cambiato il modo di approcciarsi a tutto, anche ai film. A certi tipi di film, se non altro, quelli più mainstream e che vanno per la maggiore, perché un film di supereroi medio sicuramente farà più discutere della pellicolina indie piccina picciò. Però ultimamente (sì, mi riferisco in special modo a un certo film del mio lovvissimo Zackino Snyder) internet è un continuo proliferare di gente che commenta, previsioni, news, gossip e indignazioni dei soliti sfigati nerd. In mezzo a tutto questo marasma di cinefumetti e saghe teen però avviene anche qualche piccolo miracolo, reso possibile anche grazie alla rete. Tempo fa era successo con Babadook e It follows, due film di cui si è discusso non poco in rete e che grazie a questo passaparola hanno raggiunto una popolarità altrimenti molto difficile da ottenere. Quest'anno, per un volta per merito della cerimonia degli Oscar che l'ha candidato per miglior film e miglior attrice, è toccato a un film delicato, semplice e, in questa sua piccolezza, anche abbastanza duro. Un film che ha fatto parlare di sé e che mi aveva fatto passare la voglia di vederlo - ironicamente mi dicevo che non si può dare fiducia a un film che ha come attrice protagonista una col nome di un formaggio - ma alla fine, vuoi per tenermi al passo o perché effettivamente il tema mi intrigava parecchio, ho deciso di vederlo.

Il piccolo Jack è cresciuto insieme alla madre Joy in una stanza. Il giorno del suo quinto compleanno la madre gli rivelerà la triste verità: sette anni prima lei era stata rapita da un uomo, Old Nick, che l'ha tenuta rinchiusa lì dentro ed ha abusato ripetutamente di lei, causando così la sua nascita. Adesso però non è più tempo di vivere fra quelle strette mura. Devono trovare un modo per ingannarlo...

Il film è tratto dal romanzo - che puntualmente non ho letto - Stanza, letto, armadio, specchio di Emma Donhogue, qui anche sceneggiatrice del film, che per la stesura del suo lavoro si era ispirato alla storia del piccolo Felix del caso Fritzl, uno degli eventi di cronaca nera più disturbanti degli ultimi tempi e che vedeva una donna tenuta prigioniera in uno sgabuzzino e violentata dal padre per oltre venti anni, dando alla luce sette figli nati da quell'incesto. A me invece, nel vedere il film, era venuta alla mente la storia di Natascha Kampusch, anch'essa austriaca (ma che ha la gente da quelle parti?), e che era scoppiata pochi anni dopo l'efferatezza del caso che ha dato ispirazione alla Donhogue. Due fatti che ci fanno comprendere come la realtà spesso superi la finzione e che, per come ci si sforzi, rappresentarla è sempre un qualcosa di difficile, se non impossibile. Perché pure immergendosi, o tentando di farlo, in orrori come questi è difficoltoso mantenere il contatto a lungo, anche se si è semplici spettatori. Figuriamoci per quelli che hanno vissuto il tutto. Room però non cerca di essere una cronaca di un evento simile. Sarebbe troppo, per certi versi, e sarebbe stato - giustamente - impossibile da rendere degnamente o da reggere. Lenny Abrahamson cerca di fare un lavoro pulito ma che non nasconda tutto il disagio che una situazione simile mantiene, inizia con delle riprese dure che ti fanno intuire che qualcosa non quadra e prosegue con la visione del mondo del piccolo Jack. Poi arriva la verità. Che non so, forse perché sapevo già qual era la storia o perché è una scena che hanno spammato ovunque, ma è stato forse il momento che mi ha colpito meno, se non per l'interpretazione per i due attori. Sì, gli attori, forse su di loro vale la pena spendere due parole, perché oltre alla regia asciutta ma comunque sostenuta di Abrahamson, sono praticamente loro a tenere il piedi il film. C'è Brie Lrason, che ha vinto l'Oscar, e che nonostante la giovane età riesce a dare vita a un personaggio non semplice ed estenuante, e poi il piccolo Jacob Tremblay, che... beh, su di lui non c'è molto da dire, guardate il film e capire perché tutti sono rimasti colpiti da lui in una maniera che non succedeva dai tempi de Il sesto senso. Ma c'è anche lo sconosciuto Sean Bridger, il rapitore, che riesce a trasmettere tutto lo squallore e il viscidume che un simile essere può avere. Tutti loro aiutano, ma cos'è che ha reso il film così popolare e, soprattutto, riuscito? Per come lo ho inteso io, Room non è (solo) la storia di un rapimento e di una fuga. Sarebbe stato troppo banale, altrimenti. Certo, c'è quella storia, che è la colonna portante del tutto e che offre lo snodo principale, ma è anche un film diviso in due parti. C'è la prima, dove vengono presentati i due personaggi e si sviluppa la parte più thriller dell'insieme, quella più cupa e che offre i momenti più disturbanti, poi c'è la seconda. La seconda sembra parlare di ripresa, ma la ripresa non è mai una cosa semplice. Spesso ho trovato, nella mia piccola e miserevole esistenza quotidiana, persone venir schiacciate più dal post che dal fatto terribile in sé. Nulla che si possa rapportare con quello qui mostrato, ovviamente, ma per riprendersi ci vuole forza di volontà. Ed è quello di cui va a finire per parlare questo film. Sì, la storia d'amore fra un figlio e una madre atipici, visti dal punto di vista di lui, ma anche di come questo amore alla fine finisca per far superare la sfida più grande, il superare quel grande scoglio che ha rovinato per sempre la vita di lei e ha fatto comprendere a lui che non avrà mai un'esistenza normale, dopo tutto quello. Ed è grazie a quell'amore che entrambi riescono ad accettare il loro terribile passato e, grazie a quel piccolo gesto, trovano la forza di andare avanti. Per mano, per cominciare. Poi c'è tutto il tempo della vita per migliorare.

Poca retorica e una sostanza che si trova fra le righe, senza sensazionalismi o melensaggini esagerate. Una piccola prova di delicatezza che appaga.Voto: ½

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