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Vale sempre ricordare che lo Stabilimento Florio di Favignana costruito nella seconda metà dell’800 è il più importante e moderno stabilimento industriale del Mediterraneo per la lavorazione del tonno. Il suo restauro completato nel 2009, più di tre ettari di superficie di cui un terzo coperti, ha rappresentato uno dei più significativi impegni, sia dal punto di vista finanziario che professionale, affrontato dai tecnici della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani. Ambienti diversi per dimensioni e destinazioni d’uso: uffici, magazzini, falegnameria, officine, spogliatoi, stiva, malfaraggio (per il ricovero delle barche), locali a servizio della lunga batteria di forni per la cottura del tonno e tre alte ciminiere.
Spazi che ora sono destinati al Museo dell’ex Stabilimento Florio delle Tonnare di Favignana e Formica, ciascuno con una sua destinazione. Quella che era la “stiva” ora ospita una particolarissima video installazione chiamata “Torino”, così come veniva chiamato lo stabilimento. Una raccolta di testimonianze, raccolte da Renato Alongi, di diciotto anziani operai dello stabilimentoproiettate su altrettanti grandi schermi olografici con i particolari diffusori audio direttivi a campana. Racconti diretti per il riconoscimento e la salvaguardia dei patrimoni culturali immateriali. Tra questi spicca quello dell’anziana Rosa Antonietta Bertolino che la nostra inviata “molto speciale” Elena Dak ha incontrato raccogliendo i suoi ricordi. Questo è il resoconto di quell’incontro, che volentieri vi proponiamo.Un bar del centro: la confusione e il vocio dei passanti si annulla mentre Rosa, intimidita, mi saluta. Piccola su quella sedia appoggiata al muro, alza lo sguardo ma la testa resta bassa come a proteggersi dai miei occhi. Conosco già Rosa anche se non l’ho mai incontrata prima di oggi. Nell’ex stabilimento di lavorazione del tonno a Favignana mi sono avventurata molte volte rapita dalla bellezza delle sale restaurate, inseguendoil percorso espositivo capace di far rivivere i fasti di un’industria che lavorò quintali di tonno e che la Famiglia Florio prima e i Parodi poi condussero con spirito innovativo e generoso.
La sala Torino è grande e buia. Tra le tante tele che nell’oscurità proiettano le interviste dei protagonisti di quell’epoca, c’è una donna, vestita di un abito nero a piccoli fiori bianchi, orecchini ai lobi e le mani raccolte davanti al ventre. Il portamento dice di una giovinezza passata che pure le ha lasciato forme minute e snelle. Tredici figli partoriti non hanno turbato l’insieme che sa di grazia e semplicità. La ascolto parlare nel buio della sala e aspetto che il video ricominci per recuperare la parte iniziale. Decido di cercarla per vederla dal vivo, per sentire la sua voce senza microfono alla luce del giorno. Una breve ricerca e mi ritrovo a bussare alla sua porta. Mi apre e mi presento con imbarazzo, non so bene cosa voglio da lei, solo incontrarla. Mi dà appuntamento al baril giorno stesso. Porta un abito nero a fiorellini colorati. Gli occhiali da vista non filtrano lo sguardo castano che ha 67 primavere. Fu la prima moglie di Clemente, il tonnaroto con una folta capigliatura bianca che si vede spesso in giro per l’isola.Quando le chiedo se lei si innamorò di lui mi dice ” No, mi fu portato. Da mio padre.”
A quindici anni nasce un figlio, il primo di undici avuti da lui. I figli non se ne curano, mi pare, forse perché lontani dall’isola. Rosa Antonella dopo i primi momenti di timidezza parla come un fiume in piena: “Gli altri due figli li ho fatti, diciamo, per conto mio” aggiunge a voce bassa. Lo stabilimento della tonnara è stata la sua casa, il solo luogo del riscatto di un’anima data via troppo giovane, troppo piccola, troppo. In quegli anni si lavorava sodo ma si mangiava. Svolgeva le mansioni più varie ma di certo la sua preferita era la sistemazione dei pezzi di tonno appena bollito e ancora caldo nelle latte. Di tutto quel tonno che passava per le mani, qualche pezzo finiva nella bocca e Rosa, nel raccontarlo, sembra ancora gustare la bontà di quei frammenti teneri e caldi e mima il movimento delle guance intente a masticare in fretta quei pezzetti succulenti.
Comincia ad estrarre dalle sue buste di plastica vecchie foto, cartoline e vedute plastificate dello stabilimento. Quella di cui è più orgogliosa è una foto da ragazza con una lunga treccia di capelli neri che scendeva sul davanti. I capelli erano così lunghi che durante un parto , a causa dell’emorragia, si impastarono tutti di sangue. Mi mostra una lunga foto rettangolare che teneva sul cestino della bici: ritrae la tonnara da un lato, il mare dall’altra e nel centro riporta, scritta a mano, una delle sue poesie. Scrive, Rosa, parole che traducono pensieri, semplici file di senso, tenere sequenze in cui si annida il suo sguardo mentre me le legge ad alta voce. Lei li chiama pensieri e si concludono tutti con lo stesso penultimo verso che recita: “non è una fantasia, ma…”. A volte cerca la rima altre prevale il senso sulla sonorità. Ha studiato fino alla quarta elementare poi solo da grande ha ripreso le scuole serali. Aveva capito di dover imparare a memoria un brano per l’esame ma in quel momento l’esaminatore le fece leggere un testo e capì di aver imparato tutto a memoria per niente. Si è tolta tutti i denti da sola piano piano, perché fu traumatizzata da un dentista che una volta quasi fece soffocare una paziente perché spinse troppo indietro un calco. Mano a mano che li sentiva ballare, se li estraeva da sola, lentamente. Rosa ha deciso di andarsene, torna a Marsala: la sua casa sull’isola è vicina ad in incrocio trafficato e rumoroso.
A volte non capisco quello che dice ma mi dispiace chiederle di ripetere cosìmi accontento della sua voce e di risatine infantili che intercala tra una frase e l’altra. Ha vinto l’imbarazzo e parla a ruota libera. Un tempo raccoglieva i capperi e li metteva sotto sale in bei vasetti decorati. Ora il comune ha proibito la vendita per la strada e quest’anno per il dispiacere non li ha nemmeno voluti raccogliere. Mi fa vedere i vecchi libretti di lavoro e sanitari. Odorano di umido e muffa. E’ la sola ad averli conservati, dice, un pezzo di storia in quelle pagine odorose di chiuso, nei timbri che riportano le annate del ’70, nelle firme sbiadite. Quando la riporto col discorso allo stabilimento le si illumina lo sguardo. Là dentro sono rimaste chiuse le sue ore migliori, si direbbe. Avevano mezz’ora al mattino e mezz’ora al pomeriggio per prendersi cura de i bambini tenuti nell’asilo interno alla fabbrica. Leiogni mattina mandava a prendere due litri di latte per preparare la colazione a tutti loro colpane. Mima il gesto con cui mesceva il liquido bianco e caldo nel pentolino di ciascuno.
Mi legge una sua poesia dedicata al mare, Mare d’estate: Isola mia quanto sei bella / Da questo mare che ti circonda /Il più bello che ci sia. / Mare grande mare immenso / Con la sabbia e gli scogli / Con le onde su e giù. / Mare chiaro mare blu /Ci sei solamente tu / E mi attiri sempre più / Ma non è una fantasia / Ma è la vera geografia. Rosa ama il mare e gli scogli, non la sabbia e tanto meno le alghe. Prendeva sempre ilsole da sola da ragazza, poi un uomo una volta si avvicinò e si mise a fare cose oscene e da quella volta non andò più al mare. La salute, dopo una vita di lavoro e maternità ora scricchiola e il fuoco si Sant’Antonio la tormenta. Se solo tornassero i tempi dello stabilimento, dice malinconica. Le chiedo:”Lei si sente di Marsala o di Favignana?” risponde: “Dello stabilimento!”.Elena DakElena Dak è scrittrice, il suo vero nome è Elena Dacome, usa lo pseudonimo come fece prima di lei il padre perché il vero cognome risultava sempre incomprensibile ai più. Furono gli editori a scegliere Dak. È una giovane veneziana che fa del viaggio il proprio mestiere e lavora da decenni come guida in Africa e Asia per Kel12. Antropologa di formazione, parte per viaggi particolari sulle orme dei nomadi, la sua grande passione. Autrice de La Carovana del sale per Corbaccio e Sana’a e la notte per Alpine Studio. Di lei abbiamo già pubblicato:http://libreriainternazionaleilmare.blogspot.it/2015/06/a-favignana-quando-mare-e-cibo-
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