I primi testi “appuntati” da Rosa Salvia ci dicono dell’esigenza di un pensiero forte, quasi perentorio, rispetto alle sorti della parola:
Mi sta a cuore la trasparenza dell’aria.
È dolce raccoglierla come la porzione
estrema di un destino comune…
Voci (…) oltre la vacuità delle apparenze…
Duro è morire,
ma mille volte più duro è vedere
l’insania distruggere
cieca
ciò che la sorte ci diede in dono:
la parola ormai incapace
di dire
la vera vita del pensiero…
E ancora: “Corre, corre,/ la forma della sorte,/ stordisce il rumore del tempo/ e mi trascina con sé nella corsa”… come a dire che il destino, non diversamente dalle forme dell’arte, si costituisce per una casualità che si dà, essa stessa, forma. La parola, dunque, è forma della natura.
Per Rosa Salvia, allora, la poesia “travasa”. Essa, probabilmente, è caravanserraglio, più che un vertice. È come la vita, “rottura del cordone ombelicale” che lega le creature all’ “eccelsa legge/ della volta stellata”, “fuori dal grande alveo materno”.
Queste poesie, insomma, mi sembra si nutrano di un sentimento di accoglienza, di una natura di radice/luce, dell’ essere in forma di fiori che sbocciano venendo da un segreto:
Voglia di trasparenza
carezza, sorriso, luce,
Voglia d’innocenza
pietra, dolore, pace -
amica silentia lunae.
Ed è, quindi, poesia d’amore, soprattutto nella seconda parte, meridionale e floreale, tra l’ombra e la luce che accompagnano il di/venire. Ricorrenti sono, infatti, i fiori, il viaggio, il sangue, Pasqua di resurrezione, “la doglianza del mondo”; il desiderio di essere “una creatura che vede” per “respirare la notte”. In sintonia, dunque, col vestito funereo di Demetra che ha perduto il figlio.
Così il fascino liberty si proclama nella natura dei colori accecanti, sorvegliati dalle radici oscure, dalle cantine della casa.
Sebastiano Aglieco
*
Solo per me?
No, anche per lui.
Solo per noi due?
No, anche per gli altri.
Ci struggeremo, vivi con i vivi.
**
La parola è un’argentea coppa:
intatti, precisi gli attimi
si posano -
è un movimento d’acqua cui è stata
data forma,
un diagramma,
un disegno d’aria sottile -
È armonia di contrari,
alchimia della somiglianza -
Oltre il pensiero muore,
e tuttavia resta incorrotto
come un animale pietrificato, o meglio,
come il cristallo
corpo luminoso che brilla,
fermo orizzonte dell’immagine,
all’incrocio del tempo e dell’eterno,
enigma del vero.
***
Cammino in un ronzio di versi
verso la casa di Simone, Cristina,
Emily ed Antonia, creature vive
nel cerchio della sorte
Uccelli d’anima che incidono
il pensiero
piegato al vento sacro della bellezza
Voci
su dal macigno, su dal sonno,
brivido nella radice e nelle foglie,
come nella tragedia antica la presenza
del coro che morde, avverte,
illumina, consola,
oltre la vacuità delle apparenze.
****
Nel bianco, cinereo giorno
del giudizio,
nulla chiedono i visi che vedi,
chini come i rami del salice
agghiacciante,
Nulla, né le mani di pietra,
o le strade, né un pugno di terra nelle palme
vuote,
né le braccia nude degli alberi
protese al cielo
come preghiere inascoltate,
o la casa
che compone i brandelli dell’anima,
il saluto di pianto per l’ultimo addio.
Nulla.
Non credono al giudizio.
*****
Mi sono svegliata con questa testa di marmo
fra le mani che mi sfinisce i gomiti
nè so dove poggiarla.
I miei occhi: nè aperti, nè chiusi,
la mia bocca: in procinto di parlare
poco, reggo gli zigomi che bucano la pelle.
Non reggo più,
gocciola il respiro come un filo di sangue,
anche se in cielo le ultime rondini,
guizzando d’aria felici,
sanno di miracolo.
Non reggo più questo mondo che c’incalza
dentro la furia della sua agonia,
questo mondo di umori vischiosi che colano misteri,
questo mondo di maschere di fango,
rassegnate a rimanere sorridenti o aggrondate
per sempre,
chiuse nella loro vanità,
che s’inquietano facilmente
se tu le denudi.
******
Spira il vento e non dà frescura -
le piante si mutano in molluschi,
l’arenaria si sbriciola,
un gabbiano morde il fumo coll’ala
e s’inabissa,
una biscia strisciante lecca l’acqua -
all’ombra d’uno scoglio vaneggio,
qui può stancarsi la malinconia
perchè mi sono dispersa e il mio grido
s’agghiaccia nella calura estiva,
mi conduce come un fuoco fatuo
in cale senza via d’uscita.
Adagio, verso il mare, una madre
col bambino al petto
sventola il pareo bianco della sposa.
Tra il mio viso e il suo viso quella forma
di bimbo tenera si profila e si cancella.
*******
ANCORA MAX
Il mio figlietto interiore
abita in me,
nel rumore del vento che
scompiglia i miei capelli,
nel cigolio di una porta che
si apre,
nel fragore d’un piatto che
si rompe -
e anche se evito i luoghi che
traboccano della sua memoria
e passeggio in strade ignote
al suo nasino famelico di odori
e dico: “non c’è traccia, qui, di lui,”
rimango
frastornata
a ricordarlo.