17 novembre 2014 di Dino Licci
Due milioni e mezzo di anni fa, una specie di scimmione (e lo dico con tutto il rispetto che si deve ad un nostro avo), cominciò a modificare la sua corteccia cerebrale aumentandone considerevolmente il volume soprattutto per ospitare due aree, quella che ci consente di parlare (il centro di Broca) e quella che comanda una mano che si andava modificando con la comparsa del pollice opponibile. Cominciò così a costruirsi quegli organi accessori, dalla clava al computer, che gli hanno permesso di aumentare enormemente le sue capacità cognitive. Mentre i cosiddetti creazionisti (ma sono in buona fede?), credono ancora al racconto biblico di una genesi che è in palese contrasto con qualsiasi dottrina scientifica, gli scienziati ci hanno permesso di capire come è nato l’Universo (ben 13,700 miliardi di anni fa) e come si sia formata la terra (circa 4,5 miliardi di anni fa) e come su di essa si siano formati gli oceani dove è comparsa la prima scintilla vitale, quella molecola di DNA da cui discendiamo tutti: crostacei, pesci, anfibi, rettili,uccelli e così via per un totale di circa 5.500 specie tra piante ed animali. Siccome la vita è comparsa negli oceani e siccome probabilmente gli oceani si sono formati ad opera delle comete che ci hanno regalato tutta l’acqua che le compone anche se allo stato solido(i ghiacci), si suppone che proprio nelle comete ci siano gli ingredienti necessari a formare l’acido desossiribonucleico, cioè la prima molecola capace di autoduplicarsi. Trovare in una cometa tracce di carbonio, azoto, o addirittura interi amminoacidi, servirebbe ad avallare l’ipotesi che la vita ci arrivi da lassù, cosa che non risolverebbe il mistero ma ci farebbe fare un passo avanti nelle nostre conoscenze. Così 14 anni fa, una equipe di cui fanno parte soprattutto scienziati italiani, ha deciso di esplorare la composizione di una cometa ed ha costruito una sonda spaziale chiamandola Rosetta con un evidente riferimento a quella stele (la stele di Rosetta appunto) che, scoperta nel 1799, consentì al fisico inglese Thomas Young ed al linguista francese Jean-Francois Champollion, di decifrare le sue iscrizioni ripetute in tre differenti grafie: gerogifico, demotico e greco. E Rosetta aveva a bordo un piccolo robot: Philae anch’esso chiamato così in ricordo dell’isola di Phile, dove fu trovato un obelisco con altre scritte che aiutarono gli scienziati a decifrare le iscrizioni della famosa stele. Dopo quattro anni dalla sua ideazione, Rosetta ha cominciato a viaggiare nello spazio fino a depositare proprio in questi gironi (il 12 di Novembre 2014), il suo piccolo Philae sul nucleo di una cometa che dista mezzo miliardo di chilometri da noi. L’impresa è davvero sbalorditiva e lo sarà ancora di più se il trapano di cui è dotato il robot, riuscirà a fare analizzare agli scienziati la composizione di questo nucleo scivoloso perché ghiacciato con una temperatura che si aggira intorno ai 180 gradi sotto lo zero.
Un’impresa di questo tipo non era mai stata realizzata nella storia dell’umanità e già le prime immagini della cometa ci raggiungono nelle nostre case mentre i ricercatori dell’Agenzia Spaziale attendono di analizzare tutti i dati e le informazioni contenute in questi messaggi che Rosetta e Philae stanno inviando verso la Terra.
Per la cronaca la cometa scelta dall’ESA si chiama 67P/Churyumov-Gerasimenko (67P/C–G) e fu scoperta nel 1969 e, per raggiungerla, Rosetta e Philae stanno viaggiando nello spazio da dieci anni e finora hanno percorso 6,5 miliardi di chilometri ed il punto di atterraggio di Philae si chiama Agilkia (dal nome dell’isola dove è stato trasferito il tempio egizio che prima si trovava a File) ed è stato selezionato dopo sei settimane di analisi delle fotografie scattate da Rosetta. Pare però che si tratti di una superficie scivolosa e soprattutto non esposta alla luce che dovrebbe ricaricare le batterie del robot. Speriamo che anche questo problema sia superato. Intanto stupiamoci dell’intelligenza dell’uomo che però non deve farsi illusioni. Non viviamo più nell’epoca in cui Monti col suo “Inno alla mongolfiera” pensava che l’uomo avesse conquistato l’Universo. Noi oggi sappiamo che qualche miliardo di chilometri sono niente in confronto all’immensità dell’Universo che è formato da circa duecento miliardi di galassie ognuna delle quali contiene duecento miliardi di stelle, con i loro pianeti,i loro satelliti, i loro misteri ed il loro eterno, strabiliante ruotare.