“Se mi sento tosta? Be, sì. Tornare a fare ricerca in Italia, per giunta in questo periodo, è da audaci. Ma io ci provo, nella speranza di realizzare un sogno proprio nel mio Paese”.
Le parole sono di Rossella Lucà, nata a Gela nel 1983, che ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze biomediche presso l’Università Cattolica di Lovanio in Belgio a gennaio scorso e che, appunto, ha deciso di rientrare, Rossella, a dire la verità, è tosta anche perché ha dovuto faticare per convincere luminari e riviste specializzate che la sua scoperta – la proteina interruttore del tumore al seno- e’ davvero rivoluzionaria. Come ci dirà in questa intervista.
Rossella, intanto, su cosa ha lavorato?
Nel corso del mio dottorato, che ho svolto presso il laboratorio di Neurobiologia, supervisionato dalla professoressa Bagni, io e la mia équipe abbiamo scoperto un nuovo ruolo per la proteina responsabile della Sindrome dell’X-Fragile nel tumore al seno. Fino ad oggi il ruolo di questa proteina, chiamata FMRP, è stato studiato nel cervello. Quando manca ci sono: ritardo mentale e tratti autistici, caratteristici della sindrome. Nell’ambito dei tumori, invece, abbiamo scoperto che la proteina regola un insieme di fattori, coinvolti nelle diverse fasi della progressione del cancro al seno e nello sviluppo delle metastasi. Fino ad oggi le metastasi risultano essere la causa primaria di morte – molto più della sola presenza del tumore primario – e i dati sviluppati potrebbero dare una marcia in più nella lotta contro il cancro.
Quanto è stato faticoso arrivare a questi risultati e, in genere, quanto è dura la vita di un ricercatore?
La vita di un ricercatore è molto sacrificata. Non esistono orari o week end. Prima di tutto vengono gli sperimenti. Quando si torna a casa, la mente continua a pensare di trovare la soluzione ai vari problemi in laboratorio o a come proseguire nel progetto. In più non mancano i momenti di buio, in cui i risultati non sono quelli sperati. In quei casi non bisogna mai arrendersi, ma provare e riprovare. Bisogna essere tosti. Quanto al nostro lavoro, nonostante tutti i sacrifici e gli innumerevoli esperimenti condotti, la più grande difficoltà è stata fare accettare alla comunità scientifica la nostra scoperta. Non volevano crederci!
Per fortuna nei momenti di sconforto ho avuto e ho sempre la mia famiglia, che crede in me ed in quello che faccio. Ma fondamentale è stato ed è il supporto del mio compagno, Michele Averna, ricercatore come me e anche lui primo autore di questa ricerca. Inoltre ho trovato delle grandi amicizie, di quelle che non dimenticherò mai.Chi l’ha delusa?
Purtroppo alcuni colleghi che consideravo amici, ma, soprattutto, alcune delle riviste più “illustri” che, come ho accennato prima, dubitavano della nostra scoperta.
Ora cosa pensa di fare?
Voglio continuare a fare ricerca, ma in Italia. Nonostante le difficoltà, c’è una grande passione che motiva noi ricercatori ed è l’unica spinta che ci fa andare avanti. Il nostro Paese non ha ancora capito che la ricerca di base è il passo iniziale per curare le malattie e sviluppare farmaci. Senza questo gradino il sistema vacilla. Per il mio forte senso di attaccamento alla mia nazione ho deciso di ritornare e a breve inizierò a fare ricerca presso l’IBCN CNR di Roma.
Cosa chiede al nuovo Ministro Stefania Giannini?
Bisogna svecchiare il sistema. In ambito universitario occorre iniziare con corsi pratici che inseriscano subito gli studenti nel mondo del lavoro. Siamo bravi nella teoria, ma non tanto nella pratica. Nel campo della ricerca ci sono già diversi progetti ministeriali, mirati a finanziare il ritorno dei ricercatori italiani dall’estero. Un esempio è il programma “Montalcini”, approvato dal MIUR. Purtroppo, però, i posti disponibili sono pochissimi e bisogna aspettare un paio di anni per sapere se si rientra nel programma. Perché questo? Riportiamo subito le menti in Italia!
Progetti di qui a sei anni?
Un ricercatore non può mai fare progetti a medio o lungo termine qui in Italia. So che adesso i fondi potranno coprire il mio stipendio fino alla fine dell’anno e probabilmente riusciremo a trovarne per il prossimo. Viviamo alla giornata insomma! Ad ogni modo continuerò a fare ricerca e a farmi sentire, fino ad arrivare spero tra 5-6 anni ad avere un laboratorio gestito da me.
Si sente tosta?
Non è facile tornare in Italia a fare ricerca in questo periodo. Ma è una grande scommessa. Sì, mi sento tosta! E lo sarò ancora di più nel momento in cui potremo pubblicare un grande scoperta completamente italiana! Ancora una cosa di cui sono felicissima.
Prego.
Nell’ambito della manifestazione Elogio della tenacia e della ricerca scientifica, mi sarà assegnato l’8 marzo prossimo, il Premio Europeo Bianca di Navarra 2014, della Fondazione La città invisibile, Premio in passato vinto da personalità “toste” come Sonia Alfano, Maria Attanasio e da altre giovani ricercatrici (Federica Migliardo, biologa) e artiste siciliane (Nelly Li Puma, compositrice). Questo premio esalta ed incoraggia il valore della mia ricerca e il senso del mio lavoro, che potrà essere d’aiuto nella cura di una feroce malattia delle donne.
Cinzia Ficco