Ricevo dall'amico Gilberto Gavioli questo libretto di una apparente esordiente. In realtà, si legge da qualche parte, "Le camere attigue" è la prima pubblicazione di un'opera completa, quindi risultato - si potrebbe supporre - di tutto un lavorio precedente, magari disperso qua e là. Dico questo perchè un'opera prima è insieme una promessa e un alibi, promessa di un divenire poetico e stilistico, alibi per eventuali ingenuità e mancanze.
Ho letto tutto d'un fiato il libro in questione, per poi arrivare ad alcune conclusioni del tutto soggettive. La prima (che comprende molte delle altre) riguarda la sensazione abbastanza persistente di una poesia con il freno a mano tirato, in cui c'è competenza linguistica ma non nel senso a cui allude nella postfazione Francesco Scaramozzino ("parola scovata negli antri..., scovata perchè desiderata, scelta perchè innanzitutto rifiutata" ecc.), in quanto la selezione (di "un linguaggio essenziale, magro" dice di sé l'autrice) avviene nella maggior parte dei casi non per creare uno scarto, un salto di potenziale, l'inatteso, ma piuttosto un rassicurante andante narrativo; c'è il dato esperienziale del dolore, dell'amore, della separazione, della maternità, c'è anche il progetto interessante di un percorso tutto interno alla casa, al palazzo, al condominio (e non è un caso), c'è un lirismo rattenuto, una malinconia pacata come un lento disgelo a primavera; c'è questo e altro nel libro, ma con una complessiva timidezza, di sentimenti o d'altro, una riservatezza direi borghese che rischia di inibire la comunicazione emozionale verso il lettore.
Intendiamoci, si tratta di un libro piacevole, complessivamente ben scritto, con alcuni testi rimarchevoli. Ma qui come in altri casi di cui ho avuto occasione di parlare il problema non è poi tanto la questione dell'io, la ricerca linguistica, l'individuazione dello stile o semplicemente la novità, quanto quello dello "spostamento" e della riconfigurazione della realtà, della sua riscrittura. In altre parole, la scoperta del non noto, oltre che per sé autore anche per il lettore. Una mia vecchia fissazione, lo ammetto. E questo può avvenire solo se si allenta il freno almeno un pò, se si rischia, se si mette in corto almeno un pezzo della propria esperienza, in modo che il lettore si ritrovi in questa esperienza (magari comune) solo perdendocisi.
Brevemente
quindi sulle ragioni della selezione che ho fatto. Non è detto che, per
altri lettori, siano i "migliori" tra i testi del libro, ma sicuramente
tra essi ci sono testi di rilievo: sono quelli che più si sono
"liberati" da quelle ritrosie che mi pareva di aver individuato sopra,
che più hanno sconfinato in visioni anche surreali, che hanno trovato
più accenti emotivi o anche più punte di amarezza non rassegnata, che
più hanno davvero "scovato", per dirla ancora con Scaramozzino, una
parola "giusta".
RECAPITO
spero tanto che tu
non abbia perso il mio indirizzo,
imperdonabile
per l’unica persona che mi scrive
ancora lettere di carta
nient’altro riesce ad essere più vuoto
delle cassette postali,
il più crudele languore abita lì
BREVI CONVERSAZIONI II
raccontavi del tuo ultimo viaggio,
di un programma alla radio,
ti soffermavi un istante
sulle vicende dell’ultimo passante
io archiviavo con un certo disimpegno
ogni notizia
- l’invemo é andato -
hai commentato alla fine
citando l’insistenza delle prime calure,
io captavo dai vetri
un lancio pirotecnico di uccelli
dall’albero di alloro e
non ho sentito le ultime parole
tutto é cosi fragile e scevro,
queste conversazioni esili come
zampilli difettosi di fontane
smangiucchiano la vita,
l'angolo della sorgente è ovunque
e in nessun volto
FIORI D’ASPIDISTRA
carrellata di sfingi in cerca di disgelo,
Fascensore e il destino sono in manutenzione
c’é una ragazza straniera per le scale
con stracci grigi in mano
e un tripudio di treccine attorno al viso
porta con sé la polvere all’indietro,
un gradino alla volta
poche cose sono sterili e scempie
come certi buongiorno sputacchiati
davanti agli zerbini
la luce fila e spiove in scherno
su improbabili fiori d’aspidistra
INTERNO 21
a G.
in ogni stanza dove siamo stati
non ho saputo posare il mio bagaglio
tu avevi solo le mani
e hai decorato tutte le pareti
hai dato una cornice alle aperture
visitatrice di soli corridoi
turista di corsie per ospiti distratti
per chi teme di perdersi qualcosa
e inala infine soltanto umori d’ansia
ho cercato alloggio ad ogni ostello già occupato
dalla nuda sagoma di un’altra
le attese, amore, sono mannaie alla vita,
che mi strappi di mano quando mi avvicino
INTERNO 37
Dormo sul bordo del letto, non ho di che alzarmi,
lasciate aperta la finestra di fronte anche quando piove
(il transito di nuvole sul tetto è tutto il cielo che ho),
posate con riguardo l’acqua del bicchiere accanto a me,
vicino a un fazzoletto di cotone,
tutto ciò che si muove in questa stanza
sono vecchie lancette sopra la parete.
E' buono e giusto
che io non veda più specchiere all’anta degli armadi.
Il quadro è leggermente storto, la mia metà del letto
é sempre calda, il tuo cuscino da due anni giorno e notte
resta gonfio.
INTERNO 39
(CAMPO 21)
Genova, 9/9/2009
A Staglieno arrivano i difensori della patria
e quelli come Luca,
appesi della vita a uno stantuffo
e a una pizzicata di tabacco: al Sert
ti salutavano tutti
ma questo padiglione d’ospedale
é in un altro quartiere, mentre tu
a malapena ti sporgi dal riquadro
di un foglio prestampato di cartella:
al reparto infettivi si perviene
senza valige e senza gli anticorpi.
Tua madre é diventata ancora più sorda
dalle sirene dell'ultima ambulanza;
al campo 21
arrivano le spoglie di spaventapasseri,
di quelli che sono deceduti senza spettatori:
da vuoto a vuoto,
dall’ombra delle occhiaie di tua madre
a quella di un cipresso appesantito
da strobili maturi.
INTERNO...
Avevo pensato di prendere un volo,
vagliavo l'altezza e lo spazio
del vano ascensore e del cavedio,
e poi mi decidevo e immaginavo - sbagliando -
che i cespugli di ortensie accanto al muraglione
sarebbero stati le ultime nubi che incontravo.
***
Leggo, nel peso della mia carne,
le partiture del prossimo inverno,
come tradurre versi stranieri
per cogliere alle spire di sé
la fragile scommessa delle conchiglie.
Un fondato sospetto di prigionia
si è insinuato una sera dai ceppi del camino
nell’ipnosi del fuoco, nel borbottargli
tristezze e usare il mantice.
Il corpo a volte stride,
domanda inutilmente un perdono,
schiocca le dita in segno di obbedienza,
esposto al vento e sfibrato
dalla costanza della sete e dall’esitazione di un dio.
METTERE A POSTO
tornare madre e padre di sé
mettere a posto
prima delle intemperie
fare lucide le case di lunghi respiri
il prezzo delle camere attigue
per viaggiatori stanziali ci sorveglia,
e cosi le chiavi strette nella mano
Rossella Maiore Tamponi - Le camere attigue - Ed. del Foglio Clandestino 2011