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Per la serie dell'incontentabilità, adesso fa caldo, si suda e non se ne può quasi più. Inoltre è anche tempo di ciliegie, frutto delizioso quando si raccoglie dalla pianta, un po' meno quando ne compri una vaschetta a prezzo di affezione e quelle di sotto sono già un po' marce. Quando andavo per campagne a certificare grano da seme (le sementi si comprano da chi seleziona i semi, da decenni perché conviene farlo, non come pensano quei disinformati per non usare parole pesanti di slowfoodisti, per non parlare addirittura di gente che siede impropriamente in Parlamento mentre il loro posto sarebbe una guardiola di portineria e che parlano davvero a vanvera), questo era il momento di fermarsi ai bordi dei campi ormai dorati, con le spighe ancora ritte verso il cielo. C'era sempre qualche grande pianta ai cui rami più bassi appendersi per staccare le sferette vermiglie, rosso chiaro che crocchiavano in bocca quando le mordevi o quelle scure, rosso sangue, più morbide dolci e succose. Non era ancora S. Giovanni, quindi mordevi tranquillo senza il timore di ritrovarti in bocca l'ospite inatteso, se pur erano sempre proteine nobili. Anche a mio papà piacevano un sacco le ciliegie. Lui che, da giovane, faceva l'elegantone e gli piaceva andare con gli amici a passeggiare in corso Roma, anche in giugno col vestito chiaro, pantaloni col risvolto ed Borsalino grigio con la banda scura, aveva invece col passare degli anni maturato una passione per la campagna e per l'orto che coltivava con passione.
Gli piaceva misurarsi con la terra, piantare pomodori, zucchini e fagiolini, rimirarseli mentre crescevano e poi godere nella fase della raccolta, quando arrivava a casa in bicicletta con le borse piene. Che soddisfazione provava nel mostrare quei pomodori cuor di bue, così grossi e gonfi che sembravano scoppiare, tanto erano duri e carnosi. Un lamentarsi di facciata per la fatica a vangare il pezzo di terra neppure tanto piccolo e poi il tempo speso a bagnare, quegli infiniti secchielli di acqua portati dalla pompa al campo, finché non gli comprai una semplice gomma da spostare più comodamente. E poi c'era quella pianta di ciliegie che a giugno faceva chili di maestosi duroni neri e morbidi. Ne era ghiottissimo, ma sceglieva apposta i più belli e li metteva da parte per me, fino a quando nell'orto non ci poté più andare, con gran rimpianto. Certo la verdura non aveva più lo stesso gusto ecc. ecc. e via con la consueta litania degli amarcord colorati di rimpianto.Così alla stagione, specialmente alla fine gli compravo quasi tutti i giorni delle belle vaschette da mezzo chilo, che lui si pappava golosamente mentre con l'occhio rimaneva un po' perso nel vuoto a pensare a quella pianta ormai lontana nel tempo e nello spazio. L'ultima vaschetta che gli portai a casa, non fece tempo a mangiarla, rimase lì a marcire mentre lui cominciava un altro viaggio.
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Con la mamma non si scherza.
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