Altrettanto esemplare il raffronto tra le due opere di uguale soggetto e tecnica, la Deposizione del Cristo in olio su tavola, due pale d’altare di grandezza simile, considerate quasi unanimamente i loro rispettivi capolavori. Quella del Rosso, dipinta nel 1521 per San Francesco a Volterra, risolve la scena in una vertigine anarchica in cui rimangono sospesi i personaggi, ognuno tendente alla propria autonomia. Nella Deposizione della Cappella Capponi a Firenze, dipinta dal Pontormo tra il 1525 e il 1528, l’artista dimostra di aver raggiunto un nuovo equilibrio, non più basato sul rigore dei rapporti, ma sul flusso della forma-colore e della psicologia. Il passo del Rosso era troppo lungo per poter essere recepito nell’immediato. Firenze non gli garantì committenze adeguate e non era ben visto dai Medici per le sue presunte simpatie repubblicane e savonaroliane. A Roma non andò molto meglio e finì con la cattura durante il Sacco del 1527 da parte dei Lanzichenecchi, per essere liberato solo dopo un periodo di vessazioni. E questo nonostante avesse lasciato nelle due città capolavori come la Pala dello Spedalingo (1518), Pala Dei (1522), Pala Ginori (1523), Mosé e le figlie di Jetro (1523) e il Compianto su Cristo (1526), oltre a una cospicua attività ritrattistica.
Agli inizi degli anni venti fu a Piombino e Volterra, dove lasciò la Deposizione; successivamente, dopo un temporaneo rientro a Firenze e gli anni romani, fu a Perugia, San Sepolcro, Arezzo, Città di Castello, Pesaro e Venezia, spesso ospitato da pittori minori che ne ammiravano lo stile, ai quali fece dono di cartoni preparatori e disegni. Di questi anni sono due capolavori come la Deposizione di San Sepolcro, caratterizzato da un cromatismo volto al patetico, e il plumbeo Cristo risorto in Gloria di Città di Castello. Sempre alle prese con problemi economici, politici e di salute, nel 1530, colse al balzo l’invito di Francesco I e si trasferì al Castello di Fontainebleau, dove fu occupato nell’opera di decorazione delle sale con affreschi e stucchi, ricevendo prestigiosi incarichi e onoreficenze, oltreché cospicue remunerazioni che gli consentirono finalmente una vita agiata. Il Rosso dovette ripiegare per uno stile cortese e profano e solo nella Pietà, eseguita alla fine degli anni trenta per il Connestabile de Montmorency, ebbe modo di riprendere il suo originale percorso nella Maniera. Morì in circostanze poco chiare nel 1540, secondo il Vasari suicida col veleno, schiacciato dal senso di colpa per aver ingiustamente accusato un collaboratore di furto. La sua radicale rottura nei confronti dei canoni classici rappresenta un antecedente per molte istanze del novecento, dalla Metafisica al Surrealismo, dal Ritorno all’ordine alla Nuova Oggettività.
Opere di ROSSO FIORENTINO