L’intervista e dell’Espresso.
Lui è Fabrizio Barca, ministro della coesione territoriale.
I concetti che esprime mi trovano assolutamente d’accordo.
L’intervista completa è qui.
E’ giustamente convinto che per uscire dalla crisi sia necessario ricostruire i partiti come luogo in cui si pratica una discussione collettiva sulla soluzione dei problemi. Come elementi essenziale della democrazia.
Dall’intervista:
“In ogni nazione è fisiologico un momento di scoramento collettivo, noi ne stiamo vivendo uno, dimenticando che l’Italia è invidiata in Europa e nel mondo per il suo patrimonio culturale, ambientale, industriale. Com’è possibile che un Paese così forte si sia ridotto in questo stato? Abbiamo avuto una classe dirigente estrattiva che si è dedicata a gestire queste risorse immense in modo non innovativo. Ed è qui che dobbiamo cercare la soluzione: ritrovare una forte identità nazionale che esiste e che va rinnovata”.
Lei li definisce estrattivi, la gente li chiama semplicemente politici corrotti. Per la Corte dei conti la corruzione costa 60 miliardi, il doppio della manovra Salva Italia.
«Al di là dei numeri il vero prezzo da pagare è che questo Paese è stato disabituato a competere con i propri mezzi. Se non sei integerrimo per motivi individuali o radici familiari ti abitui a crescere in una società dove si gioca sporco, dove i concorsi sono percepiti come taroccati, dove si bara fin dall’esame di maturità. So che è controcorrente dirlo: ma la zona grigia della politica è alimentata da comportamenti diffusi a livello popolare. Anche se, naturalmente, chi guida ha responsabilità enormi: è un modello».
Sicilia, Lazio e Lombardia tornano a votare sulla spinta degli scandali: questa classe politica è giunta al capolinea?
“Sono arrivati al capolinea i comportamenti del passato, un certo modo di governare. Non parlo solo dei partiti e della politica, l’abitudine estrattiva ha riguardato nel corso degli anni anche le classi amministrative e dei corpi intermedi. Ovunque le persone di valore che lavoravano nella politica o nell’amministrazione sono state bloccate perché ciò che contava era la capacità di accaparrarsi risorse. Ora la stagione della rendita è finita. Se si vuole reggere la sfida bisogna cambiare, innovare”.
In che modo: rinnovare o rottamare? Le piace il verbo di Matteo Renzi?
“Mi sembra un termine burocratico. Anzi, un atto di non responsabilità. Un cambiamento che avviene per sostituzione, non per merito. Ho un’altra idea: per essere migliori non basta essere fuori dal Parlamento o essere più giovani di età. Il vero cambiamento non è il semplice tutti a casa, avviene con la competizione. Se non c’è questo, si proclama di voler rivoluzionare tutto senza mutare regola. Si invocano i giovani al posto dei vecchi sapendo che è un programma impossibile da realizzare. E la rottamazione diventa l’altra faccia del gattopardismo: cambiare tutto senza cambiare niente”