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Possono le due parole che danno il titolo al “post” di oggi convivere? A quanto pare sì. Forse in un rapporto di causa-effetto. O forse… in contemporanea.
Rispetto a solo un anno e mezzo fa, quando questo blog è partito, il clima sembra essere leggermente cambiato. La situazione generale è rimasta la stessa, forse è addirittura peggiorata. Motivo per cui sempre più giovani stanno prendendo la strada dell’estero. Un esempio in questo senso è dato dai giovani allievi della Scuola Galileiana di Studi Superiori del Bo, vero e proprio centro d’eccellenza, dove studiano le 24 migliori matricole dell’Università di Padova. Il 95% di coloro che si sono diplomati nella classe scientifica della scuola ha già deciso di lasciare l’Italia. Un classico esempio di generosità “made in Italy”: si investe denaro per formare allievi al top, e poi li si “regala” a nazioni estere, poiché il territorio -come denuncia un articolo del “Corriere del Veneto”- non riesce a sfruttare queste risorse.
Premesso questo tragico dato, va pure preso atto di come si stia cominciando seriamente a parlare di ricambio. Anche al di qua delle Alpi.
Più che “ricambio”, il termine più in voga sembra essere quello di “rottamazione“. Non solo della classe dirigente del PD, come chiede il sindaco di Firenze Matteo Renzi. Ma della classe dirigente al timone del sistema-Italia. Classe dirigente che ha fallito quasi tutti gli obiettivi. Inutile ricamarci sopra.
Per partire, vorre riprendere il recente -e lucidissimo- discorso del Governatore di Bankitalia Mario Draghi: parlando ad Ancona, Draghi ha accusato: l’Italia è a un bivio tra stagnazione e crescita. Deve saper uscire dalla spirale del calo della produttività che ha colpito tutto il Paese. Anche il Nord, nell’ultimo decennio. Draghi ha denunciato:
-l’inazione rischia di colpire maggiormente i giovani, ai quali -se precari- va fornita una prospettiva di stabilizzazione.
-non si può vivere solo di rendita, si rischia una stagnazione simile a quella già avvenuta nel 1600, quando i ceti produttivi e mercantili cedettero il passo a quelli che miravano alla rendita, inaugurando una lunga stagione di declino.
-la mobilità sociale in Italia è ancora scarsa, l’origine famigliare conta più degli studi nel successo professionale dei giovani.
Le parole di Draghi trovano conforto nei dati: tra il 1997 e il 2007 l’Ue-15 è cresciuta, in termini di produttività, dell’8,1%. L’Italia SOLO dell’1,5%! In Italia lavorano attualmente oltre due milioni e mezzo di precari, mentre la disoccupazione giovanile viaggia abbondantemente sopra il 25%.
Aggiungiamo un dato in più: secondo i Giovani imprenditori di Confapi, l’imprenditoria giovanile in Italia è calata negli ultimi cinque anni del 17%, soprattutto a causa di ostacoli strutturali quali la buricrazia asfissiante, il difficile accesso al credito e la tassazione troppo elevata. Il paradosso, rileva la ricerca, sta nel fatto che tra i giovani c’è voglia di imprenditoria: ben il 44% di loro sogna di guidare un’azienda. Ma si scontra con un Paese stagnante e corporativo, dove chi vive di rendita fa di tutto per negare l’accesso al mercato a nuovi competitors.
Eppur qualcosa si muove: la scorsa settimana la convention di Rena (Rete per l’Eccellenza Nazionale) a Torino ha cominciato a mettere in campo l’idea di un “nuovo Risorgimento“. Da realizzare con un Paese aperto, responsabile, trasparente ed equilibrato. Al proposito vale la pena di citare l’intervento dell’ex ad di Unicredit Alessandro Profumo, che ha dichiarato senza giri di parole: “Ho avuto la fortuna di lavorare con persone da 23 Paesi diversi, e il livello di passionalità degli italiani è veramente unico. Purtroppo non sempre coniughiamo questa passionalità con i processi decisionali, e cioé la governance, che è quel processo un po’ noioso, con il quale si scelgono le persone sulla base del merito e non perché ti stanno simpatiche“. Colpito e affondato. E’ esattamente il problema di questo Paese. Ipocrita, conservatore e familistico fino all’eccesso.
L’altra iniziativa interessante è stata rappresentata dalla Mind the Bridge Competition 2010, svoltasi a Milano: “creiamo una cultura del rischio“, hanno invocato all’unisono i giovani innovatori italiani, stanchi di vedere un’economia matura, seduta su settori tradizionali, poco disposta a modernizzarsi. Dove “fallimento” significa pietra tombale su qualsiasi possibilità di riscatto, non “occasione per ripartire” con altre esperienze. Molto interessante al proposito la ricerca presentata nel corso del convegno, “Dna di una startup“: dalla quale è emerso come dietro alle startup 2.0 ci siano persone dall’istruzione elevata (95% di laureati, il 42% vi aggiunge un Ph.D), con diverse esperienze di lavoro alle spalle, e dall’apertura internazionale (uno su tre ha ottenuto il proprio Ph.D all’estero). Ma soprattutto parliamo di giovani: il fondatore ha in media 35 anni. Sorprende comunque il divario tra politica (indietro) e mondo imprenditoriale (avanti…): solo dal primo gennaio il wi-fi sarà libero. Complimenti!
Il Governo intanto presenta a Bruxelles il PNR, il Programma Nazionale di Riforma per raggiungere gli obiettivi disegnati da “Europa 2020″. Quarantacinque pagine dove c’è un po’ di tutto: più investimenti in ricerca (per arrivare alla ridicola cifra dell’1,53% sul Pil, la metà degli obiettivi di Lisbona), aumento del tasso di occupazione (mediante il piano triennale per il lavoro, un altro probabile buco nell’acqua), federalismo (per far piacere alla Lega Nord, non all’Europa), riforma fiscale (quella annunciata e rinviata almeno cinque volte), nucleare e rinnovabili, controllo della spesa previdenziale (sulle spalle dei giovani, come ha già rilevato il presidente dell’Inps), attenzione all’istruzione come driver per la crescita (infatti a quella pubblica si tagliano i fondi). Si tratta probabilmente di uno scherzo. Ma è l’Europa che ci obbliga, dicono sempre a Roma. Per cui va bene fare un “collage” delle solite cose e portarle a Bruxelles. Un Paese serio disegnerebbe un piano di riforma serio, che -tanto per cominciare- ponga in primo piano la crescita delle aziende ad alto contenuto tecnologico (vedi sopra: “Mind The Bridge”). Ma questo può ancora definirsi un Paese serio? O non, piuttosto, un Paese con una classe dirigente da “rottamare”?
“Il problema in Italia non è che la gente se ne va, ma che i cervelli non sono voluti, danno fastidio. Se rimanessero in Italia, i cervelli non servirebbero a nulla, non avrebbero la responsabilità per fare niente“: così il premio Nobel per la Fisica 2002 Riccardo Giacconi, da 54 anni negli Stati Uniti. La verità è semplicemente questa: finché in questo Paese non si creerà una cultura del merito reale, una cultura che -in modo intellettualmente onesto- lo promuova, non andremo da nessuna parte.
“Rottamare” l’attuale classe dirigente, innescando un nuovo Risorgimento Italiano. O andarsene. E’ questo il bivio che si para oggi di fronte ai nostri giovani.
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