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rough guide

Creato il 16 aprile 2012 da Plus1gmt

Ricordo che mi aveva colpito perché a 25 anni quella era la prima volta in cui si trovava all’estero, che poi l’estero in quel caso consisteva in poco più di trenta chilometri dal confine con l’Italia sulla costa francese e un centinaio da casa sua. Non era nemmeno al corrente degli accordi di Schengen e chissà cosa pensava di trovare alla dogana, che poi la dogana era stata smantellata e non c’era più ma già alle prime indicazioni che avvertivano dell’imminente stazione di frontiera aveva iniziato a preoccuparsi.

Guidava lui e si crucciava del fatto che non sapeva come sarebbero stati i cartelli stradali e la segnaletica, poi non sapeva una parola di francese e temeva di non riconoscere l’uscita. Senza contare la paura che i franchi che aveva ritirato non fossero sufficienti per i pedaggi, che la carta di credito non fosse accettata e che gli si guastasse l’auto che stava guidando magari di domenica e che ci fermasse la polizia francese per qualsiasi motivo e che la Francia dichiarasse guerra all’Italia e che gli venisse un infarto e non riuscendo a spiegarsi ai medici sarebbe morto.

Aveva oltrepassato il confine come si varca la soglia di una nuova dimensione, che poi non so se avete mai fatto quel pezzo di autostrada lì tra le rocce a picco sul mare e appena sei in Francia lo capisci perché ci sono pannelli turistici che ti segnalano persino un cespuglio fiorito, ti consigliano di usare sempre il freno a motore e in generale sembra tutto più curato, questo per dire che sembra proprio di sbarcare su un pianeta abitato e civile. E dopo qualche chilometro in cui aveva realizzato di essere ancora vivo e che era sufficiente badare alla guida come avrebbe fatto nel suo paese d’origine aveva pensato di aprire le porte alla serenità, prendere in mano la situazione ora che non sembrava ci fossero pericoli e ambientarsi da subito agli usi e costumi di quel territorio in cui era in visita, leggendo le targhe e le scritte sui cartelloni pubblicitari.

Dopo aver raggiunto la meta del viaggio e terminato l’incontro che aveva organizzato che poi era il motivo della trasferta, una via di mezzo tra piacere e lavoro, avevamo comprato due porzioni d’asporto di cous cous e avevamo pranzato sul lungomare, bevendo un paio di birre. Aveva finito i franchi e il chiosco tunisino non accettava pagamento elettronico, così senza scomporsi aveva cercato uno sportello per cambiare contanti e arrangiandosi un po’ con l’italiano e l’inglese, anche se l’impiegato parlava molto bene l’italiano tanto che poi avevamo discusso sul fatto che forse abitava in Italia e si trattava di un frontaliere, era riuscito a ottenere il denaro necessario.

Era anche la prima volta in cui mangiava cibo francese, e visto che si era rilassato gli avevo anche spiegato che il cous cous non è propriamente francese ma non importa, il mare che abbiamo davanti è lo stesso che c’è sotto casa nostra e anche il cous cous fa parte dello stesso bacino, gli ho detto. Punti il dito e vai avanti finché non trovi terra e lì, proprio di fronte, trovi qualcuno lo sta mangiando come noi. Che storia, mi ha risposto dopo aver posato la bottiglia di Ceres, è proprio bello viaggiare.



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