ROXY MUSIC #glamrock #progressive #sperimentazione

Creato il 04 novembre 2014 da Albertomax @albertomassazza

Considerati esponenti principali del Glam-rock, in realtà i Roxy Music hanno scritto una delle pagine più originali e sperimentali della storia del rock. Assemblatisi attorno alla figura del cantante e tastierista Brian Ferry, giovane insegnante di ceramica, dalla pervasiva temperie progressive dei primi anni settanta i Roxy Music si sono mossi senza esitazioni incontro all’inesorabile decadenza dell’epopea del rock, proiettandosi  pionieristicamente verso orizzonti new-wave. Insoddisfatto del suo status di insegnante e musicista a tempo perso, sul finire del 1970 Brian Ferry, ormai venticinquenne, iniziò a pubblicare annunci sul Melody Maker per trovare dei musicisti non convenzionali che si unissero a lui e al suo amico e bassista Graham Simpson. Il primo ad unirsi al progetto fu il sassofonista e oboista Andy Mackay, il quale segnalò un suo amico tastierista particolarmente interessato alle sperimentazioni elettroniche, Brian Eno. Ai tre si unirono Paul Thompson alla batteria e David O’List, ex-chitarrista dei pionieri del prog The Nice. Il nome scelto da Ferry per la band scaturì dalla fusione delle parole rock e sexy, a sottolineare inequivocabilmente l’ibridazione dello spirito ribelle e iconoclasta con le atmosfere glamour, al tempo pressoché inedite per la scena rock.

In questa formazione, i Roxy Music iniziarono a suonare nei club londinesi e vennero notati da John Peel, conduttore della BBC e creatore delle Peel sessions, live radiofonici che ospitavano le proposte più interessanti della scena rock. La band venne ingaggiata per una serie di serate dell’importante rassegna Sound of the seventies show nei primi mesi del 1972. Dopo la prima serata, O’List venne ritenuto troppo legato alla tradizione rock e invitato a lasciare il gruppo. Al suo posto venne inserito Phil Manzanera, scartato precedentemente proprio per far posto all’ex chitarrista dei The Nice. A questo punto, per Ferry & co. bisognava trovare un contratto discografico remunerativo per potersi dedicare al progetto senza preoccupazioni economiche. Grazie all’interessamento di Robert Fripp, Brian Ferry riuscì ad ottenere un’audizione per la E.G. Management, la quale, favorevolmente impressionata, propose la band alla Island Record che mise i Roxy Music sotto contratto. Nei mesi successivi videro la luce l’album omonimo d’esordio e il singolo Virginia Plain, non incluso nel  long playng, che scalò le classifiche, portando la band alla notorietà, certificata dal successo del tour promozionale. Un rock alienato, decomposto, contaminato dal jazz e dall’avanguardia colta, senza soluzione di continuità tra stile e sostanza, tra poetica e marketing, inserito perfettamente in una scenografia al contempo edonista ed esistenziale, nichilista e neoromantica. Grazie a brani come Ladytron, The bob e Sea breezes, l’esordio dei Roxy Music suscitò l’ammirazione della stampa specializzata, con l’entusiastica recensione del Melody Maker.

Nonostante l’uscita del bassista Graham Simpson, sostituito da Rik Kenton, il successivo For your pleasure confermò la band tra le più interessanti della scena inglese, con brani come la title track, Do the strand e The bogus man, ma dopo il tour promozionale Brian Eno, ormai interessato a sviluppare la sua carriera solista, decise di uscire dal gruppo. Nonostante i brani fossero tutti di Brian Ferry, la creatività di Eno rendeva il suo apporto fortemente caratterizzante per il suono della band e la sua uscita favorì una svolta nella produzione della band, sempre più accentrata su Brian Ferry, il quale contemporaneamente inaugurava una parallela carriera solista, perlopiù votata alla riproposizione di classici non solo del rock, nel suo inconfondibile stile di raffinato crooner languido e decadente. I Roxy Music si orientarono verso un pop raffinato, smussando progressivamente le spigolosità sperimentali ed esaurendo lentamente l’ispirazione più genuina. Se il successivo Stranded, uscito sempre nel 1973, si mantenne sulla scia dei precedenti, in particolare con A song for Europe, Country life del 1974 sancì il cambio di rotta. Anche il look, nel segno dell’unione tra stile e sostanza, dal glam eccentrico dei primi tempi si trasformò in raffinata eleganza dandy.

Gli album successivi (Siren, 1975; Manifesto, 1979; Flesh and blood, 1980; Avalon, 1982) consacrarono i Roxy Music come icone del pop più raffinato, con grandi successi commerciali, ma non aggiunsero nulla, se mai ci fosse stata qualcosa d’aggiungere, alla ricerca dei primi album. Al di là della consistenza tangibile della loro proposta musicale, la cifra dei Roxy Music (e di Brian Ferry in particolare) sta nell’aver demolito epica e retorica ormai mummificate del rock, sbattendo spudoratamente in faccia i meccanismi commerciali e mediatici che le sostenevano. Un attacco frontale al senso di attesa messianica, di ipocrita duropurismo di cui la cultura rock si era fatta veicolo; una sorta di auto-iconoclastia catartica, se non addirittura un’autopsia del rock. Si, perché se è indubbio e riconosciuto il peso che i Roxy Music hanno avuto su New Wave, Punk e Post-punk, viene di conseguenza da pensare che siano stati, al pari di Bowie e in modo più definitivo di Bowie, i primi da considerarsi Post-rock.



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