Le compagnie petrolifere che estraggono idrocarburi in Italia devono versare allo Stato il valore di una quota percentuale del greggio o gas estratto (aliquota di prodotto), chiamato comunemente royalty.
Dal 2010 per le estrazioni in terraferma è applicata un’aliquota royalty del 10% sulle quantità di petrolio e gas estratti mentre per le estrazioni offshore le royalties si differenziano dal 2012 in due aliquote: 10% sulla quantità di gas naturale estratto e 7% sul petrolio.
Le somme incassate dallo Stato vengono in seguito distribuite tra le Regioni e i Comuni interessati dalle attività di estrazione degli idrocarburi seguendo specifiche direttive comprese nel decreto legislativo n.625/1996, nelle leggi n.140/1999, n.99/2009 e n.134/2012.
Le procedure di controllo sulla quantità d’idrocarburi estratti prevedono una verifica della produzione da parte dell’ufficio di competenza territoriale (Bologna, Roma, Napoli) U.N.M.I.G. del Ministero dello Sviluppo Economico e per la Sicilia dell’URIG (Ufficio Regionale Idrocarburi e Geotermia) e per la Sardegna dall’Ufficio Attività Estrattive dell’Assessorato Industria.
Allora perché non aumentare le royalty in modo da aumentare gli introiti?