Magazine Attualità
di un impiegato del Viminale. Domani si vota nel pubblico impiego per il rinnovo delle rappresentanze sindacali unitarie. Finalmente si torna alle urne! Dirà qualcuno con la ritrovata voglia di poter entrare in una cabina elettorale, apporre una bella croce su un simbolo ed esprimere nome e cognome di un proprio delegato a rappresentarlo sul posto di lavoro. Purtroppo io, impiegato del Viminale, mi vedo costretto a rinunciare ad un altro mio diritto, quello di voto per l’appunto! Infatti, resterò inchiodato come sempre alla scrivania e non andrò a votare, per mia scelta ed in segno di protesta. Un dissenso che non è da leggersi come rifiuto tout court del sindacato - fondamentale ed indispensabile in ogni società civile e democratica - ma come un segnale forte e chiaro che nel mio piccolo voglio dare a chi in questi anni è praticamente scomparso dalla scena contrattuale abbandonando l’intera categoria alle scelte più che discutibili di un’Amministrazione indifferente a qualsiasi problematica. Senza voler entrare nel merito dell’efficacia e dell’efficienza del servizio pubblico reso ai cittadini, mi riferisco, citandone uno per tutti, al fatto che da quando sono entrati in vigore i "tornelli" al Viminale ancora non esiste un regolamento scritto e valido per tutti i lavoratori. Per cui c’è chi continua inspiegabilmente a riscuotere, oltre al normale orario di servizio, montagne di ore di lavoro straordinario, fermo restando che i giorni della settimana sono sempre quelli e che la giornata lavorativa è di 12 ore, ma soprattutto c’è chi "entra ed esce" dal Palazzo come gli pare e piace e chi invece, come il sottoscritto, è “giustamente” costretto a recuperare fino all’ultimo secondo di ritardi e recuperi! Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg, la cartina di tornasole di un’Amministrazione jurassica! E dal momento che le liste Rsu contemplano gli stessi nomi di quei delegati sindacali che fino ad oggi non hanno saputo o voluto risolvere alcuna problematica, oltre a quella scandalosa dei "tornelli" che ha diviso i lavoratori del Viminale in figli e figliastri, io mi astengo. Il mio "non voto", che spero venga seguito da migliaia di altri miei colleghi, non è un atto inutile, populista e qualunquista, perchè mirato a far mancare il quorum al primo turno. Infatti in mancanza del 50% + 1 degli aventi diritto, le elezioni si potranno ripetere dopo 30 giorni. E se a quella scadenza leggerò delle liste Rsu rinnovate, serie e attendibili, allora esprimerò di buon grado la mia scelta di voto. Ma fermo restando questo stato di cose, non voto per riconfermare l’assetto “sindacato-amministrazione” che ci ha ridotto così come stiamo. Non mi renderò complice del “sistema”. Il non voto non è un colpo a salve, ma un forte segnale e non solo a certe situazione interne incancrenitesi nel tempo, ma soprattutto alle Confederazioni Sindacali Nazionali che non hanno saputo o voluto contrastare le decisioni scellerate dei governi Monti-Letta-Renzi, non riuscendo neppure a concertare uno sciopero unitario di tutta la categoria: tre milioni e mezzo di lavoratori che tra mille difficoltà e impedimenti logistici, strutturali e burocratici, ma facendo leva soltanto ed unicamente sul proprio senso di responsabilità e di appartenenza spingono avanti la carretta consentendo a questo Paese di sopravvivere all’indifferenza di chi governa e amministra la cosa pubblica. Un’intera categoria, messa alla gogna mediatica, tacciata di “fancazzismo”, ma sulle cui spalle poggia la gravosa macchina dello Stato che grazie all’impegno, all'abnegazione e alla professionalità dei suoi impiegati e nonostante la malapolitica e la cattiva amministrazione, tiene ancora in piedi questo Paese. Siamo una categoria "ferma" da anni, inchiodata a procedure vecchie e obsolete, al blocco dei contratti e del turn over, vittima di una riforma pensionistica che ha mandato al macero anni ed anni di lotte e di rivendicazioni sindacali e che ha cancellato con un colpo di machete i diritti acquisiti e il giusto ricambio generazionale, togliendo ogni speranza non solo ai lavoratori più anziani che vedono allontanarsi ogni giorno che passa il traguardo della pensione, ma soprattutto alle migliaia di giovani disoccupati che hanno rinunciato ad aspettare che si liberi qualche posto nella P.A..