Un vecchio pneumatico abbandonato in mezzo al deserto prende vita e, posseduto da inspiegabili e potentissimi poteri, semina morte e distruzione nel mondo che lo circonda...
La visione di "Rubber", di Quentin Dupieux, mi ha fatto tornare alla mente il famoso dipinto surrealista di René Magritte nel quale vediamo una pipa, e poco sotto la scritta paradossale: "questa non è una pipa" ("Ceci n’est pas une pipe"). Infatti "Rubber" non è un film, bensì una riflessione, al limite del filosofico, sul cinema di genere. Per portare avanti questo tipo di operazione che potremmo definire, con termine un pò abusato, "metafilmica", Dupieux utilizza appunto un registro surreale classicamente inteso (il surrealismo di un Duchamp, per intenderci), mettendo in scena un vecchio e liso pneumatico, fornendogli vita propria e trasformandolo in un serial killer. Ma è la modalità narrativa surreale ad assurgere a vera protagonista del film, non tanto lo pneumatico stesso, nè tanto meno il cast, e neppure la sceneggiatura nella sua parte centrale, assolutamente banale e deliberatamente derivativa. Fin dalle prime sequenze Dupieux (che qui è anche direttore della fotografia, nonchè sceneggiatore, nonchè ideatore della colonna sonora) scopre immediatamente le carte, introducendoci in una località desertica nella quale sono convenuti alcuni spettatori muniti di cannochiali. Ecco che arriva un'automobile dal cui bagagliaio esce un poliziotto locale (Stephen Spinella) con in mano un bicchier d'acqua, che si rivolge direttamente a noi spettatori, ma anche a quelli presenti sul set, spiegandoci che nelle storie che ci raccontano al cinema, le cose accadono "senza una ragione": "Perchè nel film E.T. di Steven Spielberg l'alieno è marrone? No reason. Perchè in 'Love Story' i due protagonisti si innamorano? No reason". "Qualsiasi grande film, senza nessuna eccezione -continua il poliziotto- contiene un importante elemento di insensatezza, poichè la vita stessa è piena di insensatezze". Detto questo, il poliziotto versa per terra il contenuto del bicchiere, risale nel bagagliaio e l'automobile riparte. Qui comincia la "storia", che in verità è già cominciata, una "storia" vista attraverso i cannocchiali degli spettatori che bivaccano nel deserto. Attraverso questa soggettiva-collettiva noi spettatori "veri" vediamo svilupparsi le vicende di un oggetto inanimato che si anima, rotola verso il centro abitato e vibrando di un suo misterioso potere paranormale, è in grado di far esplodere le teste degli umani a distanza. Tutto è naturalmente senza ragione, dalla prima sequenza all'ultima. Il problema di un film come questo risiede proprio nel suo procedimento estetico, cioè nell'autoannullarsi come opera cinematografica, riducendo il piano immaginario ad una specie di fotografia, di quadro, di dipinto surrealista, dis-identificandosi con se stesso inuna sorta di furia destrutturante che elimina del tutto l'intrattenimento. E' come se andassimo a teatro e gli attori scendessero dal palco per dire al pubblico: "Guardate che tutto questo è finto, quindi non credeteci, perchè non ci crediamo neanche noi. Per cui riflettete, oppure alzatevi e andate via". Qualcuno griderebbe al miracolo avanguardistico. Personalmente non ho trovato originale questa operazione di Dupieux, semplicemente perchè si addice di più ad altri generi artistici, la pittura, per esempio, come il dipinto di Magritte, che tuttavia non aveva bisogno di scrivere un non-film come Rubber per dirci quello che ci ha voluto dire con la sua pipa. "Rubber": da vedere solo se spinti da forte curiosità o interesse filosofico-esistenzialistico e nulla più. Regia:Quentin Dupieux Sceneggiatura:Quentin Dupieux Fotografia:Quentin Dupieux Montaggio:Quentin Dupieux Musica:Quentin Dupieux, Gaspard Augé, Sébastien Akchoté Cast:Thomas F. Duffy, Stephen Spinella, David Bowe, Roxane Mesquida, Wings Hauser, Jack Plotnick, Haley Ramm, Courtenay Taylor, Blake Robbins, Remy Thorne, Devin Brochu, Ethan Cohn Nazione:Francia Produzione: Realitism, Elle Driver, Arte France Cinéma Anno:2010 Durata: 85 min.