Per cercare di arginare il devastante crollo del rublo (che ha perso circa il 50% del valore contro il dollaro statunitense dall’inizio dell’anno) la banca centrale russa ha deciso di alzare i tassi di interesse al 17% (dal già altissimo 10.5%).
La vera sanzione contro la Russia si è così dimostrata essere il crollo del prezzo del petrolio (primaria fonte di entrata per il gigante dai 9 fusi orari), molto più delle simboliche sanzioni che l’Occidente ha applicato dopo la presa della Crimea.
Certo il petrolio ha la sua responsabilità, ma la politica monetaria russa ha fatto e sta facendo le cose al meglio possibile?
C’è chi crede tutt’altro: ovvero che la politica della banca centrale sia stata a dir poco fallimentare, reiterando errori già fatti in passato, e che oggi fanno ripensare al crollo del rublo del 1998.
La politica "keynesiana" di svalutazione della moneta per aumentare le esportazioni e dare linfa all’economia doveva essere condotta in altra maniera e con più lungimiranza, mentre invece i mercati hanno sentito “odore di sangue” e hanno puntato forte, amplificando a dismisura gli intenti della banca centrale russa (che avrebbe dovuto dichiarare di fare tutto il necessario per mantere il cambio rublo/dollaro fissato) affossando il rublo.
Altro errore più volte commesso dalle politiche monetarie russe: non ridurre efficacemente la base monetaria in circolazione (acquistando rubli sui mercati stranieri e blindado la valuta costituendo riserva).
(mentre ora, i capitali fuggono verso lidi più sicuri e la corsa/panico al cambio sembra difficile da contenere)