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Scritto da Mauro Saracino
Per la seconda puntata della rubrica “Maestri del brivido: consigli & analisi”, lo scrittore ed editore (Dunwich Edizioni) Mauro Saracino ha messo sotto la lente di ingrandimento Brian Keene e, soprattutto, il suo romanzo Entombed.Brian Keene è un autore per il quale nutro una grande ammirazione. Nel giro di pochi anni ha scritto un gran numero di romanzi, molti dei quali considerati già un must per gli amanti dell'horror.L'eco del suo successo è arrivata persino nel nostro paese, con la pubblicazione de
I Vermi Conquistatori (carino, ma di certo non il lavoro migliore dell'autore). Anzi, da quello che so, dovrebbe uscire presto per la
Delos Books la prima parte della saga zombesca targata Keene. I motivi del successo di questo scrittore sono di sicuro molteplici ma spicca su tutti una fantasia macabra e sfrenata, che ha saputo dar luce a romanzi intensi come
A Gathering Of Crows o
Ghoul (del quale dovrebbe essere uscito il film).L'elemento sul quale vorrei soffermarmi è però la capacità di Keene di caratterizzare alla perfezione i suoi protagonisti. A tal proposito, non si può non fare un parallelo con il maestro
Stephen King, capace nel corso degli anni di dar vita a numerosi personaggi memorabili.Le qualità dei due autori sono simili, pur utilizzando tecniche narrative diverse. Se da un lato King riesce a creare personaggi vividi riempiendo decine e decine di pagine, dall'altro ottiene l'effetto indesiderato di rallentare a dismisura il ritmo narrativo. Keene ha il pregio di tratteggiare i suoi attori con poche pennellate ben assestate.Il ritmo della storia rimane inalterato e il lettore riesce a comprendere chi si muove sul palcoscenico, senza il rischio di essere confuso.A pensarci bene, molte delle opere di Keene sono proprio basate sui personaggi ed è per questo che funzionano: senza protagonisti con un solido background anche la storia più originale risulta piatta e poco avvincente. Gli orrori hanno effetto quando si crea l'empatia con il lettore, ma se quest'ultimo si trova a leggere le gesta di cliché appena animati, difficilmente può crearsi un rapporto del genere.Di recente ho letto
Entombed ed è un classico esempio di come l'autore abbia sviluppato ulteriormente quest'abilità: si parla di un gruppo di persone che, dopo essere sopravvissute a un'epidemia di zombi, restano rinchiuse in un bunker sotterraneo. Se i personaggi in questione non fossero stati tratteggiati al meglio, leggerlo sarebbe stato un'esperienza angosciante, i dialoghi sarebbero risultati piatti e il romanzo un flop colossale. Invece, ecco che i rifugiati prendono vita, interagiscono tra di loro e il lettore sembra trovarsi nel bunker insieme al protagonista.Creare personaggi tanto realistici credo dipenda dalla sensibilità dello scrittore e della sua capacità d'osservazione.Pensiamoci bene: spesso siamo in grado di afferrare tratti di persone che conosciamo poco unicamente attraverso gesti e parole. Aspetti del loro vissuto emergono dagli atteggiamenti. Lo stesso vale per i personaggi di un libro: renderli vivi attraverso il loro modo di fare è di sicuro un ottimo mezzo per farli conoscere al lettore. A patto che, naturalmente, l'autore abbia fatto i compiti: vale a dire immaginare questi personaggi al punto di vederli muovere nella sua mente, rendere vere le loro esperienze e i loro trascorsi, fino a immortalare questa visione su carta.
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